Regali di Natale, più o meno.
Legati alla fotografia. Più o meno.
Gli amici sono una grande ricchezza, forse l'unica vera.
Questo per esempio è davvero bellissimo, del 1969. Una chicca. Me lo ha portato Silvia Meneguzzo, la mia adorata redattrice. Lei mi regala continuamente ispirazioni, immagini, pensieri sulla moda, sull'arte, sulla fotografia.
Qualche tempo fa mi ha portato questo straordinario volume su Enrico Baj, artista, anarchico, surrealista. Le foto e il layout sono di Giorgio Colombo, il suo lavoro sul mondo dell'arte contemporanea è di una qualità e vastità incredibile.
"Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere" cantavano i Rokes, negli anni settanta: Qui sotto una mia foto di Enrico Baj del 1982 alla Galleria Marconi a Milano.
Altro regalo che mi ha veramente comosso: Un giorno di questi è arrivato in studio un pacchettino da Chico De Luigi. Bho?, apro: un libretto di William Klein.
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Dedicato a me!
Klein è stato davvero il mio mito! Anche se dal vero non lo trovai molto simpatico. Mi ricordo un'intervista a Parigi, a casa sua. Secondo me se la tirava veramente troppo, (o forse io speravo che mi avrebbe - che so - adottato, e naturalmente non lo fece) Questo può succedere: Alle volte i propri miti sarebbe meglio non conoscerli di persona...
Coincidenze: Qui sotto, in una foto di Giovanna Calvenzi, Klein ed io alla fine degli anni settanta agli incontri di fotografia di Arles
E qui, a Paris Photo, Klein con Chico De Luigi (nella sua brillante interpretazione di Terry Richardson) scattato da Davide Farabegoli. Grazie grazie grazie!
Oh...a proposito di miti...qui un'altro capitolo, ma bellissimo. La faccenda è lunga ma vorrei provare a raccontarla.
Claudio Rocchi mi manda in regalo un suo libro. tiratura limitatissima, 50 esemplari. In copertina c'è una mia foto che gli ho scattato questa estate a Roma.
dentro ci sono i suoi testi, disegni, racconti.
Ma chi è Claudio Rocchi? Tante cose. Per me un pezzo importante della mia vita, e sopratutto della mia adolescenza. Lui cantava, e canta ancora adesso. Benissimo. Ma negli anni settanta Rocchi era, per noi hippies di periferia un mito. Conduceva una trasmissione sulla radio nazionale (non c'erano le "radio libere"come all'inizio si sarebbero chiamate)
Iniziava la trasmissione sempre allo stesso modo: "Ciao, sono Claudio Rocchi", con la sua voce caldissima e suadente.
Metteva la nostra musica, parlava delle nostre cose e del nostro - nuovo - modo di concepire la vita. "Ciao sono Claudio Rocchi" era diventato, nella nostra compagnia il modo in cui ci salutavamo. Avevamo tutti preso il suo nome. Eravamo hippies, capelli lunghi, ma anche malavitati, alcuni pesanti.
Un mio amico, lui era fantastico, molto simpatico, fece una rapina in banca con alcuni complici. Lui guidava. Avevano rubato un'auto ma,in preda a chissà quale droga, decise che di quella macchina lì non si fidava e la mattina della rapina prese la sua alfetta scassata. Rapina finita maluccio, qualche sparo, fortunatamente a vuoto, e fuga.
Al pomeriggio i carabinieri andarono a prenderlo direttamente a casa.
In attesa di processo, i "grandi" della compagnia andarono a San Vittore a trovarlo. Al ritorno, noi: "Allora? come sta?" "Mah...bene" dicono loro, quando siamo arrivati in parlatoio è entrato e ha detto " Ciao ragazzi, sono Claudio Rocchi". Tanto per dire come stavamo messi.
Tanti tanti anni dopo, la storia sarebbe lunga, il destino ci ha fatto incontrare e mi ha regalato la sua amicizia.
Qui sotto Claudio esegue uno dei suoi pezzi più famosi: "La realtà non esiste"
Qui sotto un'altro mio ritratto di Claudio, scattato a Roma quest'anno.
Altri regali bellissimi. Ho scattato a Torino nella casa di Carlo Mollino, e già questo è stato un regalo e un'esperienza emozionanti (grazie Silvia)
Per le foto del backstage ho chiesto aiuto alla mia amica Elena Givone.
Qui sotto uno dei suoi scatti, ma come antipasto. Stay tuned: Le sue foto, magiche, misteriose e giocose come lei, su questo blog quando ( a Febbraio) il servizio di moda in questione sarà pubblicato.
Altro scatto natalizio e ironico me l'ha regalato Beppe Calgaro. Lui si firma anche "Fratelli Calgaro". date un occhio al suo lavoro: Non è omologato e quindi è molto interessante. Questo è un file, ma ha giurato che mi manderà la stampa firmata. Grazie!
Altra stampa regalo quella che ho ricevuto da Pino Musi.
per raccontare Pino uso le - perfette - parole di Ferdinando Scianna:
"Vulcanico napoletano, folle e un tantino ipocondriaco, sul quale si è misteriosamente innestato, e ancor più misteriosamente ha attecchito, uno spirito di fanatismo tecnologico mutuato dalle sue lunghe esperienze di vita e di lavoro in Svizzera.
Ricercatore e sperimentatore appassionato di ogni ultima diavoleria tecnica relativa alla fotografia. Autentico virtuoso nell’uso dei grandi formati e nella stampa analogica diretta in camera oscura, ma anche dell’elaborazione elettronica dell’immagine digitale, come dei vari tipi di stampa a getto d’inchiostro...
...tutti strumenti aggiornatissimi e sofisticatissimi ma univocamente funzionali ad una sincera ossessione per un risultato visivo superlativo quanto a restituzione di materia, dettaglio, di ogni sfumatura luminosa del soggetto fotografato."
Anche di Pino Musi torneremo a parlare in questo blog nel 2012, ma dalle parole di Scianna avrete capito che la stampa qui sotto riprodotta è, vista dal vero, un assoluto capolavoro.
Vabbè, a proposito di capolavori. Giovanna Calvenzi come al solito esagera e per Natale (ok, Natale + il mio compleanno ) mi omaggia di questa stampa originale di Giacomelli.
Che dire?
Emozione allo stato puro. E' come tenere in mano un pezzo di storia, eppoi nostra, direi nostrana. Forse non la voglio nemmeno incorniciare. Voglio poterla tenere in mano. Lui l'ha tenuta in mano. Giacomelli è unico. Da ragazzo l'avevo solo intuito, non capito, ma è normale. Bisogna crescere per sapere. Ora lo trovo anni luce avanti. Grazie Giò!
Realtà della provincia italiana.
Gente di cuore che sa fare davvero bene il suo lavoro. Qui sotto un paio di esempi e un paio di regali davvero "giusti"
Scarti-Lab. Di Crevalcore, tra Modena e Bologna. Fanno jeans, camicie, roba da uomo. Trattano - male - il denim in modo magistrale. Avevo preso una loro camicia per fotografare Jovanotti.
Qui sotto Toni, il boss, poi Lorenzo in pizzeria con camicia Scarti-lab, poi i pantaloni "stato dell'arte" che ho ricevuto per Natale. Grazie anche a voi.
E poi Stewart, sono toscani. Fanno giubbotti di pelle come devono essere. Loro, sono persone come tutti dovrebbero essere. Grazie Carlo e complimenti per il mio bomber, non lo tolgo più!
Un pò più impersonale, ma è un regalo anche questo: Io Donna ha eletto come migliore copertina del 2011 la mia foto con Lucia Lavia. Grazie!
Altro pacchetto inaspettato: Sinapsi mi ha mandato ben cinque suoi scatti in Polaroid. Sono un estimatore del suo lavoro e lui lo sa, ma non ci conosciamo ancora di persona. Siccome non le ha firmate dovrà per forza passare dal mio studio. Grazie Gian Giacomo, a presto! (due le ho tenute girate, un pò di mistero non fa mai male...)
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Stage>backstage: The December cover of Riders magazine.
Let's the images talk: "Merry night", a fashion essai for Io Donna magazine styled by Silvia Meneguzzo, photographed by Toni Thorimbert.
Io Donna magazine
Merry Night
Styled by Silvia Meneguzzo
Photographed by Toni Thorimbert
Hair: Gianluca Guaitoli
Make up: Roman Gasser
Backstage photography and video by Giorgio Serinelli.
Video editing: Maria Alonzo.
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Editor-at-Large Matteo Oriani talks about the world’s most expensive photograph. Spoiler warning: It’s retouched!
Recentemente una fotografia di Andreas Gursky (Lipsia 15 gennaio 1955) è stata venduta ad un’asta di Christie’s per 4,3 milioni di dollari. E’ la foto più costosa al mondo. Andreas Gursky è cresciuto a Düsseldorf e ha avuto come insegnante Bernd Becher (Siegen, 20 agosto 1931 - Rostock, 22 giugno 2007) che, con sua moglie Hilla (Potsdam, 2 settembre 1934), è stato tra i più influenti artisti dei nostri tempi: le loro fotografie di archeologia industriale hanno fatto storia.
La fotografia si intitola “Rhein II” ed è stata scattata nel 1999.
Difficile capire certi meccanismi del mercato dell’arte, però mi diverte sapere che c’è chi spende 4,3 milioni di dollari per appendere al muro del salotto una foto grigia e verde di 360 centimetri per 185. Per di più la foto in questione non è unica: esistono 6 copie conservate al Museum of Modern Art a New York, alla Tate Modern a London, alla Pinakothek der Modern a Monaco, e alla Glenstone Collection a Potomac, Maryland. La sesta non so.
Il “tipo” ha fatto bene a comprarla: è bellissima. Temo però che giaccia in un caveau superprotetto e super climatizzato. La foto dico.
Ma quella foto è più “bella”, per esempio, di “99 cents”, sempre di Andreas Gursky e conservata al MoMa di New York, costata 3,3 milioni di dollari nel 2007?
Non so bene cosa determina il prezzo di un’opera, ma so che le fotografie di Gursky hanno un valore immenso che va al di là del vil denaro: il valore dell’arte.
Per capire questa fotografia slegata dal suo valore commerciale, proviamo a guardarla come se la stessimo guardando appesa al muro. Osserviamo la composizione. L’inquadratura è perfettamente divisa in due tra cielo e terra. Nella parte superiore c’è un cielo grigio, reso appena percepibile da morbide sfumature nuvolose. Nella parte inferiore c’è una spoglia distesa di verde interrotta da strisce grigie. La striscia più grande è il Reno.
Non si può dire se il fiume va di qua o di là. Si rimane ipnotizzati. Non ci sono punti di riferimento, ombre, oggetti, sembra non esistere tempo atmosferico e neppure tempo cronologico. C’è un appiattimento dei piani ma non una mancanza di profondità.
Le immagini di Andreas Gursky sono ottenute con fotografie manipolate. Si potrebbe dire postprodotte, ritoccate, fotoscioppate, ma il termine non sarebbe azzeccato. Lavorate digitalmente è più calzante.
La realtà, per Gursky, non può essere esibita se prima non viene ri-costruita perché la realtà oggettiva non esiste.
La tecnologia digitale è usata in questo caso in un modo estremamente nobile. L'artista usa questo mezzo per costruire una nuova realtà, per proporre un senso estetico e concettuale diverso, slegato e lontano da canoni estetici e concettuali imposti, dove nessuno, in realtà, si riconosce.
Sappiamo tutti quali danni si possono fare con il ritocco digitale. L’immagine che noi avremmo di quello stesso paesaggio, osservando con i nostri occhi, non coincide con la realtà che ci offre Gursky.
Guardare per credere: qui sotto la foto dello stesso posto scattata da un fotogiornalista tedesco.
Rhein II, come tutte le opere di Gursky non è una fotografia narrativa, ma è una fotografia allegorica. Rhein II trasmette una sensazione di serenità e di pace. E’ un’immagine meditativa-minimalista.
C’è un equilibrio rassicurante e una forte tensione attrattiva.
Equilibrio rafforzato da un rigore compositivo senza eguali dove sembra non succedere nulla e invece succede tutto.
Esiste un duplice punto di vista per godere di questa fotografia: da lontano si vedono grandi segni cromatici sapientemente disposti e da vicino puoi scoprire dettagli e particolari infiniti.
Posso solo immaginare (perché vedo in uno schermo) i singoli fili d’erba, le piccole increspature dell’acqua e le soffici sfumature delle nuvole. C’è dentro tutto il Reno, tutta la ”Realtà Reno” vista attraverso l’occhio di Gursky che, come dice lui stesso, immagina di guardare attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica con l’occhio di un extraterrestre.
Il modo più puro, più aperto, più curioso, più inimmaginabile e profondo di guardare la realtà.
In quest’opera viene sublimato “l’effetto Gursky”: lo spettatore perde i punti di riferimento canonici per trovarne, meravigliosamente, di nuovi.
Adesso osservate le due foto vicine, “99 cents” e “RheinII”: non potrebbero apparire più diverse e invece sono generate dallo stesso “effetto” proprio perché sono immagini allegoriche e non narrative. “Rhein II” è la sublimazione di “99 cents”, per quello costa di più!
Matteo Oriani.
Nota dell’autore: grazie Principessa!
Matteo Oriani è un fotografo.
Colto ed acuto osservatore delle immagini e delle menti che le producono.
Insieme a Raffaele Origone forma il duo professionale Oriani-Origone.
Nelle loro foto danno vita ad oggetti altrimenti inanimati.
Click on pictures to enlarge.
La fotografia si intitola “Rhein II” ed è stata scattata nel 1999.
Difficile capire certi meccanismi del mercato dell’arte, però mi diverte sapere che c’è chi spende 4,3 milioni di dollari per appendere al muro del salotto una foto grigia e verde di 360 centimetri per 185. Per di più la foto in questione non è unica: esistono 6 copie conservate al Museum of Modern Art a New York, alla Tate Modern a London, alla Pinakothek der Modern a Monaco, e alla Glenstone Collection a Potomac, Maryland. La sesta non so.
Il “tipo” ha fatto bene a comprarla: è bellissima. Temo però che giaccia in un caveau superprotetto e super climatizzato. La foto dico.
Ma quella foto è più “bella”, per esempio, di “99 cents”, sempre di Andreas Gursky e conservata al MoMa di New York, costata 3,3 milioni di dollari nel 2007?
Non so bene cosa determina il prezzo di un’opera, ma so che le fotografie di Gursky hanno un valore immenso che va al di là del vil denaro: il valore dell’arte.
Per capire questa fotografia slegata dal suo valore commerciale, proviamo a guardarla come se la stessimo guardando appesa al muro. Osserviamo la composizione. L’inquadratura è perfettamente divisa in due tra cielo e terra. Nella parte superiore c’è un cielo grigio, reso appena percepibile da morbide sfumature nuvolose. Nella parte inferiore c’è una spoglia distesa di verde interrotta da strisce grigie. La striscia più grande è il Reno.
Non si può dire se il fiume va di qua o di là. Si rimane ipnotizzati. Non ci sono punti di riferimento, ombre, oggetti, sembra non esistere tempo atmosferico e neppure tempo cronologico. C’è un appiattimento dei piani ma non una mancanza di profondità.
Le immagini di Andreas Gursky sono ottenute con fotografie manipolate. Si potrebbe dire postprodotte, ritoccate, fotoscioppate, ma il termine non sarebbe azzeccato. Lavorate digitalmente è più calzante.
La realtà, per Gursky, non può essere esibita se prima non viene ri-costruita perché la realtà oggettiva non esiste.
La tecnologia digitale è usata in questo caso in un modo estremamente nobile. L'artista usa questo mezzo per costruire una nuova realtà, per proporre un senso estetico e concettuale diverso, slegato e lontano da canoni estetici e concettuali imposti, dove nessuno, in realtà, si riconosce.
Sappiamo tutti quali danni si possono fare con il ritocco digitale. L’immagine che noi avremmo di quello stesso paesaggio, osservando con i nostri occhi, non coincide con la realtà che ci offre Gursky.
Guardare per credere: qui sotto la foto dello stesso posto scattata da un fotogiornalista tedesco.
Rhein II, come tutte le opere di Gursky non è una fotografia narrativa, ma è una fotografia allegorica. Rhein II trasmette una sensazione di serenità e di pace. E’ un’immagine meditativa-minimalista.
C’è un equilibrio rassicurante e una forte tensione attrattiva.
Equilibrio rafforzato da un rigore compositivo senza eguali dove sembra non succedere nulla e invece succede tutto.
Esiste un duplice punto di vista per godere di questa fotografia: da lontano si vedono grandi segni cromatici sapientemente disposti e da vicino puoi scoprire dettagli e particolari infiniti.
Posso solo immaginare (perché vedo in uno schermo) i singoli fili d’erba, le piccole increspature dell’acqua e le soffici sfumature delle nuvole. C’è dentro tutto il Reno, tutta la ”Realtà Reno” vista attraverso l’occhio di Gursky che, come dice lui stesso, immagina di guardare attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica con l’occhio di un extraterrestre.
Il modo più puro, più aperto, più curioso, più inimmaginabile e profondo di guardare la realtà.
In quest’opera viene sublimato “l’effetto Gursky”: lo spettatore perde i punti di riferimento canonici per trovarne, meravigliosamente, di nuovi.
Adesso osservate le due foto vicine, “99 cents” e “RheinII”: non potrebbero apparire più diverse e invece sono generate dallo stesso “effetto” proprio perché sono immagini allegoriche e non narrative. “Rhein II” è la sublimazione di “99 cents”, per quello costa di più!
Matteo Oriani.
Nota dell’autore: grazie Principessa!
Matteo Oriani è un fotografo.
Colto ed acuto osservatore delle immagini e delle menti che le producono.
Insieme a Raffaele Origone forma il duo professionale Oriani-Origone.
Nelle loro foto danno vita ad oggetti altrimenti inanimati.
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