Alle fiere dell'arte c'è tanto e di tutto. Allora cammino tra gli stands e semplicemente mi faccio attirare dalle opere.
Mi faccio calamitare. Quelle che non mi prendono, le lascio proprio andare.
Mi sono anche accorto che quando un'opera mi piace, la guardo per intera, ovviamente, ma poi vado sempre a scrutarla da vicino.
Il dettaglio che mi ha colpito, la texture.
Sono queste le immagini che ho scattato e che qui condivido.
Art fairs are full of all kinds of things.
So I walk through the stands and see what attracts me.
I allow myself to be magnetized. If it doesn’t stick, I keep on walking.
I noticed that when I like a piece of art, I look at it in its entirety, obviously, but then I always go over and examine it up close.
The texture; the detail that grabbed me.
Here are the pictures I took and want to share:
Mel Ramos
Gary Taxali
Lucio Fontana
Giuseppe Veneziano
Fidia Falaschetti
Mario Sironi
Gianni Berengo Gardin
Fausto Melotti
Gary Baseman
Stefano Cerio
Marina Abramovich
Taylor McKimens
Joffe
Franco Vaccari
Mario Giacomelli
Zhivago Duncan
Click on the pictures to enlarge.
Our beloved editor at large Matteo Oriani asks: who is in charge.
Una mattina di ottobre dello scorso anno, sono andato da Toni D'Ambrosio, detto il “Dottore”, mitico stampatore dello Studio De Stefanis a Milano.
E' un amico di lunga data. Intanto che aspetto i miei sviluppi, mi cade l'occhio su alcuni lavori da consegnare: Basilico, Berengo Gardin, Mulas.
Mulas? Hmmmmm... Tac, scatta il ricordo.
Nel 1989 ci fu una sua grande mostra alla Rotonda della Besana a Milano.
Melina, sua figlia, che era alla ricerca di uno stampatore per la mostra chiese consiglio a me e a Raffaele Origone.
Studio De Stefanis, suggerimmo, senza alcun dubbio.
Li mettemmo in contatto, lei fu entusiasta e la mostra fu un successo.
Per simpatia, Melina ci offrì di scegliere una foto della mostra per noi.
Gasp! (allora non si usava ancora Wow!).
Sceglierla, seppur tra tante, si rivelò facile: la “nostra foto” doveva essere il ritratto di Luchino Visconti. Il perchè è semplice: volevamo a nostra volta regalarla a Giovanni Gastel, suo degno e adorante nipote, come testimonianza di riconoscenza per gli anni in cui era stato il nostro maestro...in tutto.
Poi, come alle volte succede, non se ne fece nulla, perché...boh...eravamo forse troppo distratti da altro.
Insomma, quel giorno di ottobre, ri-chiamo Melina che non vedevo da dieci/quindici anni: "ciao Melina, sono Matteo Oriani. Ti ricordi che 23 anni fa ci avevi promesso una foto di tuo padre?" "Certo che mi ricordo!" dice lei "Quando passi a prenderla?"
Forte la Melina!.
All’appuntamento arrivo in orario. Lei no. Poco male: la sua segretaria mi offre un bicchiere d'acqua e di passare il tempo consultando la ricca biblioteca.
L'acqua fresca mi permise di rimanere lucido per certe letture.
O forse sarebbe stato meglio non esserlo... qui sotto, una didascalia sul lavoro dell'artista Giulio Paolini.
Poi arriva Melina. Va in archivio. Cerca dove sa. Trova la foto. Eccola:
Luchino Visconti, photographed by Ugo Mulas, 1969
Fare ritratti non è facile. Ma neanche farseli fare.
Mi sembra che qui Mulas abbia fatto di tutto per rendere la vita difficile a Visconti che, però, ne esce alla grande.
Nonostante l'ovvio disagio a posare in un’ambientazione del genere, la leggendaria eleganza di Visconti è rappresentata in modo impeccabile.
Sarebbe stato facile ritrarre il Maestro in un ambiente sfarzoso, perfettamente a suo agio nel suo territorio naturale, dove la cura del dettaglio scenografico è estrema.
O mentre lavora dirigendo la troupe. Fatta da Mulas, sarebbe stata sicuramente una bella foto, ma probabilmente non così potente.
Visconti è seduto su una sedia da osteria con la seduta impagliata.
L'ambiente è molto spoglio. Sembra un set morandiano.
La scelta di girare la sedia al contrario amplifica ancora di più la provocazione per rendere la vita difficile a Visconti.
Non m’intendo molto di linguaggio del corpo, ma mi sembra che qui il Regista abbia saputo superare brillantemente una situazione di difficoltà, riscattandosi grazie al suo equilibrio e alla sua forza interiore.
Non dimentichiamo che Visconti ebbe un’educazione rigidissima in contrasto con uno spirito alquanto ribelle. Le sue mani, aggrappate quasi alla seduta, credo che siano alla ricerca di qualcosa di famigliare attraverso la percezione tattile.
Si potrebbe paragonare la matericità rassicurante del lino del suo vestito (così magistralmente tagliato e indossato) con quella della impagliatura della sedia?
Ecco che la sedia si trasforma da barriera, da ostacolo in una sorta di piedistallo che nobilita il soggetto.
Non so bene se per merito di Mulas o di Visconti.
Un bel match! Quello che conta è il risultato finale.
L’espressione del viso di Visconti la dice lunga.
Io qui vedo uno dei più grandi registi al mondo, padre del neorealismo, intelligente e colto, uomo di rara eleganza, nobile e - decisamente benestante - accettare la sfida di Mulas, e lasciarsi mettere in una scenografia che è l'esatta antitesi del suo ambiente naturale.
D'altra parte, non si era spaventato a dichiararsi omosessuale, e pure comunista, negli anni ’40.
Luchino non ha fatto una piega. Si vede anche dal vestito.
Giovanni Gastel, nel ricevere la foto, era commosso. E noi a dargliela.
Ho voluto raccontare questa storia perché parla di rapporti profondi e sinceri, di belle relazioni che esistono tra uomini e donne di un certo tipo e tra fotografi, chissà, forse solo di una certa generazione.
Grazie Melina, Giovanni, Raffaele.
Grazie Dottore.
E, come sempre, grazie Wendy!
Matteo Oriani.
Editor at large, The blog behind the images.
Matteo Oriani è un fotografo.
Colto ed acuto osservatore delle immagini e delle menti che le producono.
Insieme a Raffaele Origone forma il duo professionale Oriani-Origone.
Nelle loro foto danno vita ad oggetti altrimenti inanimati.
ENGLISH TRANSLATION
One October morning last year I was over at Toni “Dottore” D’Ambrosio’s, a reputable photo printer at Studio De Stefanis in Milan.
The two of us go back many years.
As I waited for my prints, my eye fell on some work waiting for delivery: Basilico, Berengo Gardin and Mulas.
Ugo Mulas? Hmmm… That name zapped me back in time.
In 1989 there was a large retrospective of his in Milan, at the Rotonda della Besana.
Melina, his daughter, was looking for a photo printer for the show, and asked my partner Raffaele Origone and I for some advice.
“Studio De Stefanis,” we suggested without hesitation.
We put them in touch, she was enthusiastic, the exhibition was a success.
As a friendly thank-you, Melina offered to give us our favorite picture from the show.
Gasp! (Back then, Wow! wasn’t used much yet.)
Although the photos were many, it wasn’t hard for us to choose. “Our” photo had to be the portrait of Luchino Visconti. Why? Easy: We, in turn, wanted to give it as a gift to Giovanni Gastel, Visconti’s worthy and adoring nephew, as a token of our gratitude for having been our maestro (of everything) way back in the day.
Then, as sometimes happens, we never followed up on the offer. I guess we were too distracted by other events.
So, on that very day in October, I call Melina, whom I hadn’t seen for 10 or 15 years: “Ciao, Melina, this is Matteo Oriani. Do you remember you promised us one of your father’s photographs 23 years ago? “Of course I remember!” she says. “When do you want to pick it up?”
Remarkable woman, that Melina!
I arrive on time for our appointment. She’s late. No matter: her secretary offers me a glass of water and invites me to kill time by consulting the extensive library.
The cool water allowed me to stay lucid for a certain type of reading.
Perhaps it would have been better to be less sober.
See below one of the captions to some work by Giulio Paolini.
Then Melina arrives. She dives into the archives, hunting down her prey with precision. She finds the photo. Here it is:
Taking portraits is not easy. Neither is having one’s portrait taken.
It seems to me that here, Mulas did his best to make life difficult for Visconti, who rises to the challenge with flying colors.
Despite the obvious discomfort of posing in this kind of setting, Visconti’s legendary elegance is impeccably intact.
It would have been easy to portray the Maestro in an opulently furnished room, perfectly at ease in his natural territory, marked by meticulous attention to the scenery's detail.
Or to portray him while directing his troupe. Taken by Mulas, it certainly would have been a great photograph, but probably not as powerful.
Visconti is seated on an osteria chair with a caned straw seat. The set is bare, like something Giorgio Morandi might have painted.
The decision to turn the chair backward amplifies Mulas’s provocation to make things difficult for Visconti.
I’m no expert on body language, but it would seem that the film director has come out brilliantly on top of a tough situation, thanks to his balance and inner strength.
We mustn’t forget that Visconti had a very rigid upbringing, in contrast with his rebellious spirit. His hands grip the seat as if in search of something familiar to hold on to.
Could we compare the reassuring texture of the straw to the linen of his suit (so majestically cut and worn)?
From a barrier and an obstacle, the chair becomes a pedestal, ennobling the subject.
Would that be Mulas or Visconti’s merit?
Hard to say! What counts is the final result.
The expression on Visconti’s face says it all.
What I see is one of the world’s greatest film directors, father of neo-realism, intelligent, cultured, a man of rare elegance, noble and decidedly wealthy, accepting Mulas’s challenge, and gamely playing along in a setting that is the exact opposite of his natural surroundings.
This is a man who was not afraid to be open about his homosexuality – and Communist leanings – in the 1940s.
Luchino did not get ruffled at all. You can tell by his suit.
Giovanni Gastel was moved by the gift. And so were we when we gave it to him.
I wanted to tell this story because it’s about profound, sincere feelings between photographers, women and men of a certain type, and maybe of a certain generation.
Thank you Melina, Giovanni and Raffaele.
Thank you Dottore.
And, as always, thank you Wendy!
Matteo Oriani
Editor at large, The Blog Behind the Images
Click on the pictures to enlarge.
E' un amico di lunga data. Intanto che aspetto i miei sviluppi, mi cade l'occhio su alcuni lavori da consegnare: Basilico, Berengo Gardin, Mulas.
Mulas? Hmmmmm... Tac, scatta il ricordo.
Nel 1989 ci fu una sua grande mostra alla Rotonda della Besana a Milano.
Melina, sua figlia, che era alla ricerca di uno stampatore per la mostra chiese consiglio a me e a Raffaele Origone.
Studio De Stefanis, suggerimmo, senza alcun dubbio.
Li mettemmo in contatto, lei fu entusiasta e la mostra fu un successo.
Per simpatia, Melina ci offrì di scegliere una foto della mostra per noi.
Gasp! (allora non si usava ancora Wow!).
Sceglierla, seppur tra tante, si rivelò facile: la “nostra foto” doveva essere il ritratto di Luchino Visconti. Il perchè è semplice: volevamo a nostra volta regalarla a Giovanni Gastel, suo degno e adorante nipote, come testimonianza di riconoscenza per gli anni in cui era stato il nostro maestro...in tutto.
Poi, come alle volte succede, non se ne fece nulla, perché...boh...eravamo forse troppo distratti da altro.
Insomma, quel giorno di ottobre, ri-chiamo Melina che non vedevo da dieci/quindici anni: "ciao Melina, sono Matteo Oriani. Ti ricordi che 23 anni fa ci avevi promesso una foto di tuo padre?" "Certo che mi ricordo!" dice lei "Quando passi a prenderla?"
Forte la Melina!.
All’appuntamento arrivo in orario. Lei no. Poco male: la sua segretaria mi offre un bicchiere d'acqua e di passare il tempo consultando la ricca biblioteca.
L'acqua fresca mi permise di rimanere lucido per certe letture.
O forse sarebbe stato meglio non esserlo... qui sotto, una didascalia sul lavoro dell'artista Giulio Paolini.
Poi arriva Melina. Va in archivio. Cerca dove sa. Trova la foto. Eccola:
Luchino Visconti, photographed by Ugo Mulas, 1969
Fare ritratti non è facile. Ma neanche farseli fare.
Mi sembra che qui Mulas abbia fatto di tutto per rendere la vita difficile a Visconti che, però, ne esce alla grande.
Nonostante l'ovvio disagio a posare in un’ambientazione del genere, la leggendaria eleganza di Visconti è rappresentata in modo impeccabile.
Sarebbe stato facile ritrarre il Maestro in un ambiente sfarzoso, perfettamente a suo agio nel suo territorio naturale, dove la cura del dettaglio scenografico è estrema.
O mentre lavora dirigendo la troupe. Fatta da Mulas, sarebbe stata sicuramente una bella foto, ma probabilmente non così potente.
Visconti è seduto su una sedia da osteria con la seduta impagliata.
L'ambiente è molto spoglio. Sembra un set morandiano.
La scelta di girare la sedia al contrario amplifica ancora di più la provocazione per rendere la vita difficile a Visconti.
Non m’intendo molto di linguaggio del corpo, ma mi sembra che qui il Regista abbia saputo superare brillantemente una situazione di difficoltà, riscattandosi grazie al suo equilibrio e alla sua forza interiore.
Non dimentichiamo che Visconti ebbe un’educazione rigidissima in contrasto con uno spirito alquanto ribelle. Le sue mani, aggrappate quasi alla seduta, credo che siano alla ricerca di qualcosa di famigliare attraverso la percezione tattile.
Si potrebbe paragonare la matericità rassicurante del lino del suo vestito (così magistralmente tagliato e indossato) con quella della impagliatura della sedia?
Ecco che la sedia si trasforma da barriera, da ostacolo in una sorta di piedistallo che nobilita il soggetto.
Non so bene se per merito di Mulas o di Visconti.
Un bel match! Quello che conta è il risultato finale.
L’espressione del viso di Visconti la dice lunga.
Io qui vedo uno dei più grandi registi al mondo, padre del neorealismo, intelligente e colto, uomo di rara eleganza, nobile e - decisamente benestante - accettare la sfida di Mulas, e lasciarsi mettere in una scenografia che è l'esatta antitesi del suo ambiente naturale.
D'altra parte, non si era spaventato a dichiararsi omosessuale, e pure comunista, negli anni ’40.
Luchino non ha fatto una piega. Si vede anche dal vestito.
Giovanni Gastel, nel ricevere la foto, era commosso. E noi a dargliela.
Ho voluto raccontare questa storia perché parla di rapporti profondi e sinceri, di belle relazioni che esistono tra uomini e donne di un certo tipo e tra fotografi, chissà, forse solo di una certa generazione.
Grazie Melina, Giovanni, Raffaele.
Grazie Dottore.
E, come sempre, grazie Wendy!
Matteo Oriani.
Editor at large, The blog behind the images.
Matteo Oriani è un fotografo.
Colto ed acuto osservatore delle immagini e delle menti che le producono.
Insieme a Raffaele Origone forma il duo professionale Oriani-Origone.
Nelle loro foto danno vita ad oggetti altrimenti inanimati.
ENGLISH TRANSLATION
One October morning last year I was over at Toni “Dottore” D’Ambrosio’s, a reputable photo printer at Studio De Stefanis in Milan.
The two of us go back many years.
As I waited for my prints, my eye fell on some work waiting for delivery: Basilico, Berengo Gardin and Mulas.
Ugo Mulas? Hmmm… That name zapped me back in time.
In 1989 there was a large retrospective of his in Milan, at the Rotonda della Besana.
Melina, his daughter, was looking for a photo printer for the show, and asked my partner Raffaele Origone and I for some advice.
“Studio De Stefanis,” we suggested without hesitation.
We put them in touch, she was enthusiastic, the exhibition was a success.
As a friendly thank-you, Melina offered to give us our favorite picture from the show.
Gasp! (Back then, Wow! wasn’t used much yet.)
Although the photos were many, it wasn’t hard for us to choose. “Our” photo had to be the portrait of Luchino Visconti. Why? Easy: We, in turn, wanted to give it as a gift to Giovanni Gastel, Visconti’s worthy and adoring nephew, as a token of our gratitude for having been our maestro (of everything) way back in the day.
Then, as sometimes happens, we never followed up on the offer. I guess we were too distracted by other events.
So, on that very day in October, I call Melina, whom I hadn’t seen for 10 or 15 years: “Ciao, Melina, this is Matteo Oriani. Do you remember you promised us one of your father’s photographs 23 years ago? “Of course I remember!” she says. “When do you want to pick it up?”
Remarkable woman, that Melina!
I arrive on time for our appointment. She’s late. No matter: her secretary offers me a glass of water and invites me to kill time by consulting the extensive library.
The cool water allowed me to stay lucid for a certain type of reading.
Perhaps it would have been better to be less sober.
See below one of the captions to some work by Giulio Paolini.
Then Melina arrives. She dives into the archives, hunting down her prey with precision. She finds the photo. Here it is:
Taking portraits is not easy. Neither is having one’s portrait taken.
It seems to me that here, Mulas did his best to make life difficult for Visconti, who rises to the challenge with flying colors.
Despite the obvious discomfort of posing in this kind of setting, Visconti’s legendary elegance is impeccably intact.
It would have been easy to portray the Maestro in an opulently furnished room, perfectly at ease in his natural territory, marked by meticulous attention to the scenery's detail.
Or to portray him while directing his troupe. Taken by Mulas, it certainly would have been a great photograph, but probably not as powerful.
Visconti is seated on an osteria chair with a caned straw seat. The set is bare, like something Giorgio Morandi might have painted.
The decision to turn the chair backward amplifies Mulas’s provocation to make things difficult for Visconti.
I’m no expert on body language, but it would seem that the film director has come out brilliantly on top of a tough situation, thanks to his balance and inner strength.
We mustn’t forget that Visconti had a very rigid upbringing, in contrast with his rebellious spirit. His hands grip the seat as if in search of something familiar to hold on to.
Could we compare the reassuring texture of the straw to the linen of his suit (so majestically cut and worn)?
From a barrier and an obstacle, the chair becomes a pedestal, ennobling the subject.
Would that be Mulas or Visconti’s merit?
Hard to say! What counts is the final result.
The expression on Visconti’s face says it all.
What I see is one of the world’s greatest film directors, father of neo-realism, intelligent, cultured, a man of rare elegance, noble and decidedly wealthy, accepting Mulas’s challenge, and gamely playing along in a setting that is the exact opposite of his natural surroundings.
This is a man who was not afraid to be open about his homosexuality – and Communist leanings – in the 1940s.
Luchino did not get ruffled at all. You can tell by his suit.
Giovanni Gastel was moved by the gift. And so were we when we gave it to him.
I wanted to tell this story because it’s about profound, sincere feelings between photographers, women and men of a certain type, and maybe of a certain generation.
Thank you Melina, Giovanni and Raffaele.
Thank you Dottore.
And, as always, thank you Wendy!
Matteo Oriani
Editor at large, The Blog Behind the Images
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Portrait, self portrait.
Tutte le buone fotografie dovrebbero essere degli “autoritratti”, ma è molto difficile che un autoritratto sia una buona foto.
Settimio Benedusi
L’anno scorso, per vari motivi, mi hanno scattato molte fotografie di ritratto.
Ne ho scelta una. Me l’ha scattata Giovanni Gastel.
One shot. Uno scatto solo.
Giovanni è bravo, la sa lunga, e tra tutti e due facciamo tanti anni dietro - e davanti - a quelle macchine.
Ma se ci ripenso, sembravamo piuttosto due condomini indaffarati che si incontrano casualmente su di un pianerottolo ingombro di cose: flashes, banks, cavalletti, una colonna e la grande Plaubel col soffietto.
Molto vicini e molto distanti.
Il 20X25 ti inchioda. Come fotografo, non puoi sgarrare. Il fuoco. Il momento dello scatto.
Come soggetto, se ci vuoi essere, devi partecipare a quel rigore.
I sensi si amplificano. Gli assistenti tremano. Pure loro, molto attenti. Se sbagli è un guaio.
Io preso, in quella frazione corta di tempo, a ripulirmi da quell’ io ingombrante che ogni tanto sgomita.
Lasciarmi vedere, ecco quello che volevo.
Giovanni ha caricato l’otturatore con l’aria di maneggiare quella levetta per la prima volta in vita sua.
Credo mi ha guardato un attimo, a lato della macchina, non da dietro, e qualcosa mi ha in qualche modo inglobato, anche se ero troppo preso a guardare verso l’obbiettivo per saperlo veramente, e subito subito, i flash hanno fatto un BUM molto forte, come in una fucilazione in cui tutto succede molto più in fretta di quanto immagini, molto diversa da come la vedi nei film, dove la tirano in lungo e i condannati fumano l’ultima sigaretta.
Ma io ero solo felice di essere lì, e Giovanni era sincero e vero e tutto questo ha prodotto questa meravigliosa non-intenzione.
Cedere le armi. Essere vulnerabili. Con-fidarsi.
La guardo e mi chiedo: “quanto ci ho messo di mio?”
Toni Thorimbert photographed by Giovanni Gastel, 20 December 2012
A gennaio di ogni anno mi scatto un autoritratto.
Compio gli anni il primo.
Allora mi faccio la foto. Anche se non ne ho molta voglia. E ogni volta è molto diversa da come vorrei che fosse. Per intenderci, nei miei autoritratti io vorrei somigliare a quello che sembro nella foto in alto, quella di Gastel.
Ma non mi viene mai. Al massimo sembro ebete, mai sereno, men che meno saggio.
Forse perché non lo sono. Forse non lo sono ai miei occhi.
Più difficile che scattarsi un ritratto, c’è solo sceglierlo, figuriamoci commentarlo. Troppe cose fatte troppo da soli.
Comunque, alla fine ho scelto questa.
Self portrait, 1 January 2013
Clicca sulle immagini per ingrandirle.
Comunicazione di servizio:
Nel corso di questi anni è diventata una prassi abbastanza consolidata per me pubblicare un nuovo post ogni settimana, la domenica sera. E' stato bello perchè a me ha dato una disciplina e un ritmo mentre a chi mi segue ha dato la sicurezza di un appuntamento fisso.
Da quest'anno, oltre a pubblicare anche la traduzione in inglese, vorrei provare a privilegiare l'ispirazione e la qualità invece che la regola e la quantità.
Con tanto affetto, buon 2013!
T.T.
ENGLISH TRANSLATION:
Every good photograph should be a “self-portrait”, but it’s rare for a self-portrait to be a good photograph.
Settimio Benedusi
Last year, for a variety of reasons, people were always making portraits of me.
I chose one. It’s the one Giovanni Gastel took.
He took it in one single shot. Just one.
Giovanni’s a talented man, he knows a lot, and the two of us go back many years – both behind the camera and in front of it.
But if I think about it, we used to be more like two busy next-door neighbors who bump into each other every once in a while on the landing, which is full of their stuff: flashes, banks, tripods, a column stand and a big Plaubel with bellows.
So close, yet so distant.
An 8 by 10 nails you down. As the photographer, there’s no second-guessing. Focus and timing is everything.
As the subject, in order to be part of the process, you need to be part of the precision.
The six senses are amplified. The assistants’ nervous tics come alive. Also they know: be alert.
If you make a mistake, it’s a problem.
I was intent, in that short fraction of a second, on erasing my cumbersome other self that sometimes rears its head.
Let myself be seen, that’s what I wanted.
Giovanni cocked the shutter like he was figuring out that little lever for the first time in his life.
I think he looked at me for a second, from the side of the camera, not from behind, and something somehow swallowed me, although I was too busy looking at the lens to know for sure, and right at that same moment, the flashes went BOOM really loudly, like an execution where everything happens much quicker than you can imagine, much different from the way they show it in the movies, where the minutes seem like hours and the convicts smoke their last cigarette.
But I was just happy to be there, and Giovanni was sincere and true, and all this together produced this wonderful non-intention.
To lay down your arms. Be vulnerable. Have trust.
I look at it and ask myself: “How much did I contribute?”
Each year in January I take a self-portrait.
My birthday is on the first.
So I take my own picture. Even when I don’t really feel like it. And every time, it comes out much different from the way I wish it had. What I mean is, in my self-portraits, I’d like to be more like what I look like in the photo above, the one by Gastel.
But I’m never able to do it. At most, I come out looking like a simpleton. Never serene, let alone wise.
Maybe because I’m not. Maybe it’s just me who thinks I’m not.
What’s harder than taking a self-portrait is choosing one, not to mention discussing it. Too many things done all by one’s self.
In any case, here’s the one I ended up choosing:
Apostille:
Over the last years, I was in the more or less regular habit of publishing a new post every week, on Sunday night. It was good because it gave me discipline and rhythm, while it gave my readers the assurance of a fixed instalment.
Starting this year, besides adding an English translation, I’d like to try giving priority to inspiration and quality instead of principle and quantity.
With much affection and gratitude, Happy 2013!
T.T.
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Settimio Benedusi
L’anno scorso, per vari motivi, mi hanno scattato molte fotografie di ritratto.
Ne ho scelta una. Me l’ha scattata Giovanni Gastel.
One shot. Uno scatto solo.
Giovanni è bravo, la sa lunga, e tra tutti e due facciamo tanti anni dietro - e davanti - a quelle macchine.
Ma se ci ripenso, sembravamo piuttosto due condomini indaffarati che si incontrano casualmente su di un pianerottolo ingombro di cose: flashes, banks, cavalletti, una colonna e la grande Plaubel col soffietto.
Molto vicini e molto distanti.
Il 20X25 ti inchioda. Come fotografo, non puoi sgarrare. Il fuoco. Il momento dello scatto.
Come soggetto, se ci vuoi essere, devi partecipare a quel rigore.
I sensi si amplificano. Gli assistenti tremano. Pure loro, molto attenti. Se sbagli è un guaio.
Io preso, in quella frazione corta di tempo, a ripulirmi da quell’ io ingombrante che ogni tanto sgomita.
Lasciarmi vedere, ecco quello che volevo.
Giovanni ha caricato l’otturatore con l’aria di maneggiare quella levetta per la prima volta in vita sua.
Credo mi ha guardato un attimo, a lato della macchina, non da dietro, e qualcosa mi ha in qualche modo inglobato, anche se ero troppo preso a guardare verso l’obbiettivo per saperlo veramente, e subito subito, i flash hanno fatto un BUM molto forte, come in una fucilazione in cui tutto succede molto più in fretta di quanto immagini, molto diversa da come la vedi nei film, dove la tirano in lungo e i condannati fumano l’ultima sigaretta.
Ma io ero solo felice di essere lì, e Giovanni era sincero e vero e tutto questo ha prodotto questa meravigliosa non-intenzione.
Cedere le armi. Essere vulnerabili. Con-fidarsi.
La guardo e mi chiedo: “quanto ci ho messo di mio?”
Toni Thorimbert photographed by Giovanni Gastel, 20 December 2012
A gennaio di ogni anno mi scatto un autoritratto.
Compio gli anni il primo.
Allora mi faccio la foto. Anche se non ne ho molta voglia. E ogni volta è molto diversa da come vorrei che fosse. Per intenderci, nei miei autoritratti io vorrei somigliare a quello che sembro nella foto in alto, quella di Gastel.
Ma non mi viene mai. Al massimo sembro ebete, mai sereno, men che meno saggio.
Forse perché non lo sono. Forse non lo sono ai miei occhi.
Più difficile che scattarsi un ritratto, c’è solo sceglierlo, figuriamoci commentarlo. Troppe cose fatte troppo da soli.
Comunque, alla fine ho scelto questa.
Self portrait, 1 January 2013
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Comunicazione di servizio:
Nel corso di questi anni è diventata una prassi abbastanza consolidata per me pubblicare un nuovo post ogni settimana, la domenica sera. E' stato bello perchè a me ha dato una disciplina e un ritmo mentre a chi mi segue ha dato la sicurezza di un appuntamento fisso.
Da quest'anno, oltre a pubblicare anche la traduzione in inglese, vorrei provare a privilegiare l'ispirazione e la qualità invece che la regola e la quantità.
Con tanto affetto, buon 2013!
T.T.
ENGLISH TRANSLATION:
Every good photograph should be a “self-portrait”, but it’s rare for a self-portrait to be a good photograph.
Settimio Benedusi
Last year, for a variety of reasons, people were always making portraits of me.
I chose one. It’s the one Giovanni Gastel took.
He took it in one single shot. Just one.
Giovanni’s a talented man, he knows a lot, and the two of us go back many years – both behind the camera and in front of it.
But if I think about it, we used to be more like two busy next-door neighbors who bump into each other every once in a while on the landing, which is full of their stuff: flashes, banks, tripods, a column stand and a big Plaubel with bellows.
So close, yet so distant.
An 8 by 10 nails you down. As the photographer, there’s no second-guessing. Focus and timing is everything.
As the subject, in order to be part of the process, you need to be part of the precision.
The six senses are amplified. The assistants’ nervous tics come alive. Also they know: be alert.
If you make a mistake, it’s a problem.
I was intent, in that short fraction of a second, on erasing my cumbersome other self that sometimes rears its head.
Let myself be seen, that’s what I wanted.
Giovanni cocked the shutter like he was figuring out that little lever for the first time in his life.
I think he looked at me for a second, from the side of the camera, not from behind, and something somehow swallowed me, although I was too busy looking at the lens to know for sure, and right at that same moment, the flashes went BOOM really loudly, like an execution where everything happens much quicker than you can imagine, much different from the way they show it in the movies, where the minutes seem like hours and the convicts smoke their last cigarette.
But I was just happy to be there, and Giovanni was sincere and true, and all this together produced this wonderful non-intention.
To lay down your arms. Be vulnerable. Have trust.
I look at it and ask myself: “How much did I contribute?”
Each year in January I take a self-portrait.
My birthday is on the first.
So I take my own picture. Even when I don’t really feel like it. And every time, it comes out much different from the way I wish it had. What I mean is, in my self-portraits, I’d like to be more like what I look like in the photo above, the one by Gastel.
But I’m never able to do it. At most, I come out looking like a simpleton. Never serene, let alone wise.
Maybe because I’m not. Maybe it’s just me who thinks I’m not.
What’s harder than taking a self-portrait is choosing one, not to mention discussing it. Too many things done all by one’s self.
In any case, here’s the one I ended up choosing:
Apostille:
Over the last years, I was in the more or less regular habit of publishing a new post every week, on Sunday night. It was good because it gave me discipline and rhythm, while it gave my readers the assurance of a fixed instalment.
Starting this year, besides adding an English translation, I’d like to try giving priority to inspiration and quality instead of principle and quantity.
With much affection and gratitude, Happy 2013!
T.T.
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Postcards from Venice
Come è straordinariamente bella Venezia.
Queste cartoline sono state scattate nel breve tragitto tra il mio albergo e la casa di alcuni amici veneziani.
How extraordinarily beautiful is Venice.
These postcards were taken in the short distance between my hotel and the home of some venetian friends.
Postcards from Venice
Photographed by Toni Thorimbert
Venice, from 30/1/2012 to 2/1/2013
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"Altari" the site-specific exhibition at the Fondazione Biagi in Modena.
Mi ricordavo bene quando successe. Ormai dieci anni fa. Marco Biagi, lavorava con il governo. Assassinato dalle Brigate Rosse.
A Modena c’è la sua Fondazione. Le idee di Biagi vivono qui, qui vive la sua memoria. Gli studenti studiano e consultano, ci sono convegni, lezioni. Ogni 10 anni passa un ministro o un presidente.
Marina Biagi. La moglie. Un bel viso luminoso, modi affabili e precisi. Una certa ironia.
Mi squadra sfacciatamente da capo a piedi e dice: “Lei è vestito esattamente come un vero fotografo”, e mi sorride.
Ci sediamo, ascolto e la guardo.
I suoi occhi brillano ancora. Innamorata di lui. Di com’era. Della sua, e della loro vita.
Il tema di questa mostra che farai dovrebbe essere: il lavoro, oggi. Mi hanno detto.
Mentre parla vedo gente che cade. Persone normali.
Forse vengono colpite.
Forse semplicemente non ce la fanno più a stare in piedi, forse gli hanno fatto lo sgambetto, forse sono instabili, hanno un equilibrio precario.
La crisi, il mondo, la vita.
Insomma, proprio un tiro mancino.
Ho immaginato un fondo azzurro. Quell’azzuro, falso, delle promesse elettorali.
Non si vedono le facce. Loro siamo tutti noi.
Ti ci devi imbattere.
Manifesti che devono sbiadire
Marina Biagi mi ha poi detto: “Le foto sembrano nate con i muri della Fondazione”
Non c’è nessun radioso futuro, nessuna prospettiva.
Chissà, meno male.
Forse questo ha aperto un canale. Dentro.
Mentre cadi.
Altari
Immagini come piccoli altari. Piccole offerte votive. Rivolgere uno sguardo verso l’alto, o verso il dentro.
Immagini dal mondo interno, Immagini dai tuoi sogni.
Piccoli oggetti, piccole magie.
Il tuo cuore, il tuo fuoco.
Le abbiamo stampate piccole come i santini. Le puoi portare via con te, magari le puoi tenere dentro di te.
Eccole:
E' stato bello anche farlo, questo lavoro.
Tutti sapevano molto bene di cosa stavamo parlando.
Abbiamo condiviso e giocato.
Siamo caduti per terra. Ci siamo rialzati.
Qui sotto le belle foto di Giorgio Serinelli
Settimio + Niccolò jumping.
with Pino and Cristina
With Mario, Matteo + Kia
Matteo + Nora
Matteo + Wendy
with Wendy and matteo
Nora, Anna, Sasha.
On stage.
Daria.
Volevo pubblicare questo post alla fine del 2012.
Mi sembrava potesse essere una specie di riassunto, un manifesto simbolico di questo anno appena passato.
Lo pubblico invece nei primi giorni del 2013. Non credo cambi molto.
Se non che, da quando ho scattato questa storia - ormai un anno fa - è un po' cambiato il mio rapporto con queste immagini.
All'inizio, quelle grandi mi sembravano in qualche modo "più importanti", mentre ora sto diventando sempre più affezionato a quelle piccole.
Grazie.
A tutti gli amici che mi hanno regalato la loro "instabilità"
A Sonia per il titolo ed il senso.
Filippo Maggia
Andrea Landi
Claudia Fini
A Walter Besola D4U per Hasselblad e acquisizione immagini.
A tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto.
Per Marina Biagi.
ALTARI
A site-specific exhibition by Toni Thorimbert
Curated by Filippo Maggia
Produced by Fondazione Fotografia di Modena
Fondazione Marco Biagi
Modena, Largo Marco Biagi 10
Opening hours:
Monday to Thursday 8.30-13 + 14.30-17.30
Friday 8.30-13
Backstage photography by Giorgio Serinelli.
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A Modena c’è la sua Fondazione. Le idee di Biagi vivono qui, qui vive la sua memoria. Gli studenti studiano e consultano, ci sono convegni, lezioni. Ogni 10 anni passa un ministro o un presidente.
Marina Biagi. La moglie. Un bel viso luminoso, modi affabili e precisi. Una certa ironia.
Mi squadra sfacciatamente da capo a piedi e dice: “Lei è vestito esattamente come un vero fotografo”, e mi sorride.
Ci sediamo, ascolto e la guardo.
I suoi occhi brillano ancora. Innamorata di lui. Di com’era. Della sua, e della loro vita.
Il tema di questa mostra che farai dovrebbe essere: il lavoro, oggi. Mi hanno detto.
Mentre parla vedo gente che cade. Persone normali.
Forse vengono colpite.
Forse semplicemente non ce la fanno più a stare in piedi, forse gli hanno fatto lo sgambetto, forse sono instabili, hanno un equilibrio precario.
La crisi, il mondo, la vita.
Insomma, proprio un tiro mancino.
Ho immaginato un fondo azzurro. Quell’azzuro, falso, delle promesse elettorali.
Non si vedono le facce. Loro siamo tutti noi.
Ti ci devi imbattere.
Manifesti che devono sbiadire
Marina Biagi mi ha poi detto: “Le foto sembrano nate con i muri della Fondazione”
Non c’è nessun radioso futuro, nessuna prospettiva.
Chissà, meno male.
Forse questo ha aperto un canale. Dentro.
Mentre cadi.
Altari
Immagini come piccoli altari. Piccole offerte votive. Rivolgere uno sguardo verso l’alto, o verso il dentro.
Immagini dal mondo interno, Immagini dai tuoi sogni.
Piccoli oggetti, piccole magie.
Il tuo cuore, il tuo fuoco.
Le abbiamo stampate piccole come i santini. Le puoi portare via con te, magari le puoi tenere dentro di te.
Eccole:
E' stato bello anche farlo, questo lavoro.
Tutti sapevano molto bene di cosa stavamo parlando.
Abbiamo condiviso e giocato.
Siamo caduti per terra. Ci siamo rialzati.
Qui sotto le belle foto di Giorgio Serinelli
Settimio + Niccolò jumping.
with Pino and Cristina
With Mario, Matteo + Kia
Matteo + Nora
Matteo + Wendy
with Wendy and matteo
Nora, Anna, Sasha.
On stage.
Daria.
Volevo pubblicare questo post alla fine del 2012.
Mi sembrava potesse essere una specie di riassunto, un manifesto simbolico di questo anno appena passato.
Lo pubblico invece nei primi giorni del 2013. Non credo cambi molto.
Se non che, da quando ho scattato questa storia - ormai un anno fa - è un po' cambiato il mio rapporto con queste immagini.
All'inizio, quelle grandi mi sembravano in qualche modo "più importanti", mentre ora sto diventando sempre più affezionato a quelle piccole.
Grazie.
A tutti gli amici che mi hanno regalato la loro "instabilità"
A Sonia per il titolo ed il senso.
Filippo Maggia
Andrea Landi
Claudia Fini
A Walter Besola D4U per Hasselblad e acquisizione immagini.
A tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto.
Per Marina Biagi.
ALTARI
A site-specific exhibition by Toni Thorimbert
Curated by Filippo Maggia
Produced by Fondazione Fotografia di Modena
Fondazione Marco Biagi
Modena, Largo Marco Biagi 10
Opening hours:
Monday to Thursday 8.30-13 + 14.30-17.30
Friday 8.30-13
Backstage photography by Giorgio Serinelli.
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