Toscana Photographic Workshop
Arrivi guidando al tramonto su strade da perdere la testa. Toscana, bellissima. Luce. Monastero di Sant'Anna, vicino a Pienza. Magico. Panorama mozzafiato. Nel cortile un grande telo bianco per le proiezioni serali, dall'altra parte tavoli imbanditi. Crepuscolo, si beve e si chiacchiera. E' la serata finale del TPW, Toscana Photographic Workshop. Ci sono venuto, invitato da Settimio che anche quest'anno qui tiene un corso, per stare in compagnia, vedere qualche amico e, perchè no, respirare un pò l'aria della fotografia.
E' l'ultima sera, dedicata a far festa e alla proiezione degli "allievi" di Pistolesi, Elledge, Benedusi, Minkinnen, Pache, Franco Pagetti.
Carlo Roberti è il capo, parla brevemente al microfono. Le foto sono mediamente belle, alcune bellissime.
E' molto chiaro che in alcuni workshop, gli studenti vengono portati ad apprendere per "imitazione", e quindi a "clonare" un pò il loro maestro, mentre in altri si sente che gli allievi sono spinti a sviluppare durante il corso una loro poetica personale.
Un tempo sarei stato decisamente di parte: Ho sempre molto criticato i corsi che si risolvono in una scimmiottatura del "grande fotografo" che porta in giro i suoi allievi come un branco di copioni senza cervello, aspettandosi che questi "vedano" come lui, ovviamente ben certo che la sua visione sia così interessante e unica da meritare di essere imitata. Che questo non sia il metodo giusto ne sono ancora convinto, ma meno drasticamente di un tempo. Guardando le fotografie che scorrono sul telone del TPW vedo invece quanto meritorio ed importante sia oggi mettersi ad imparare qualcosa, qualsiasi cosa e in qualsiasi modo.
Imparare oggi è un'atteggiamento un pò in disuso.
Il TPW è caro, molto caro, per molta gente.
Oggi si trovano sedicenti workshop di fotografia che costano la decima parte del TPW. Magari non si tengono nel più bel posto del mondo, ma è indubbio che i tempi sono cambiati. Gli studenti sono meno, molti meno di un tempo. Ci sono meno soldi, è vero, ma Canon e Nikon non hanno mai venduto così tante macchine "professionali" come in questi ultimi due anni.
Probabilmente molte persone hanno preferito comprarsi una sofisticata apparecchiatura digitale piuttosto che investire sulla propria formazione. E così nonostante la purezza dei luoghi, il tramonto spaziale, la luna che illumina a giorno le colline disegnate dalla sapiente mano del Grande Architetto, qui, protetti dalle fortificazioni del monastero ci si sente un pò in trincea, pochi e dubbiosi.
Si vede che per alcuni il workshop è stato, come dice Settimio "lacrime e sangue". Certezze messe in crisi, i propri limiti messi in evidenza. Accettarsi, non è sempre un facile compito, e anche se alla fine le foto sono veramente belle, gli applausi non sempre sanno colmare il vuoto e la vertigine che il farle ha prodotto in noi stessi.
Poi si beve, e seduti sul muretto si tira tardi. Si fanno i gruppetti attorno ai maestri. Con Carlo Roberti parliamo di scuole, scuole moderne, costose e spesso molto, molto inutili. Scuole che vogliono specializzarti in "beauty", "moda", "still life". Dice Roberti: "oggi, in due tre anni puoi farti una base, ma non andrei a scuola. in un paio di anni farei quattro cinque workshop, poi libri, libri libri e mostre, mostre, mostre". E' un'idea, magari funziona. Una volta avrei saputo senz'altro cosa dire, ma oggi nei ragazzi più giovani vedo molto individualismo, molte ambizioni, qualche talento, poco coraggio, e pochissima attitudine ad imparare.
Dai Toni, oggi le cose si sanno, non si imparano!
Non penso che sia neppure arroganza, semplicemente, pare che non sia più così necessario. Fare, si, è più importante: smanettare, scaricare, ritoccare, uplodare: Su Facebook tutti i tuoi mille amici clickeranno "mi piace".
E' ok per me.
Però, per quello che ho visto, il TPW, e senz'altro il corso di Settimio, sono proprio un'altra cosa: Certo più faticosa, dove magari, proprio tu che credevi di fotografare modelle nude ti trovi, messo a nudo, davanti alle modelle...Cose che succedono, sentimenti che accadono, lacrime e abbracci che capitano solo a chi ha ancora voglia di imparare...
Not a lot of words, just photography.
Io Donna magazine
"Fashion trailer"
Styled by Silvia Meneguzzo
Photographed by Toni Thorimbert
Hair: Gianluca Guaitoli
Make up: Katja Wilhelmus
Model: Milou, NEXT.
Here below:
Riders magazine
"La special perfetta"
Photographed by Toni Thorimbert
Written by Paolo Sormani
Backstage photography by Claudio Rizzolo.
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"Riders" magazine. In the July issue: All of the 40 "Moto 2" pilots.
Sono 40, cioè tantissimi, sopratutto se si pensa che in Moto GP partono in 16.
La nuova, controversa classe che ha sostituito la leggendaria "250" a due tempi con un monomarca Honda 600 sta dando qulalche soddisfazione a livello di spettacolo.
Finalmente gare con sorpassi, carena contro carena, e arrivi in volata.
Peccato che di questi 40, di faccia, e di nome, se ne conoscono solo quattro o cinque, magari perchè transfughi dalla Moto GP.
Riders ci ha messo una pezza chiedendomi di fare "Celo, manca" le "figurine Panini" della "Moto 2"
L'idea era davvero carina ( e poi eravamo già al Mugello a fare altro....) ma l'impresa non era proprio semplice: Tempo a disposizione, uno o due minuti a pilota e le foto scattate in box piccolissimi (questi team non hanno, neanche lontanamente, i soldi delle squadre GP) piene di meccanici, gomme, carene e...moto
Bisognava essere agili e veloci ma la luce, morbida, doveva essere uguale il più possibile per tutti.
Allora ci siamo inventati il metodo che illustro nel disegno qui sotto.
Flashino montato sulla macchina, ma alla rovescia, puntato cioè dietro alla mia testa, dietro di me l'assistente che regge un cartone bianco abbastanza grande per riflettere la luce. Come sfondo, dietro al pilota un fondalino azzurro che simulava il colore dei cieli con nuvolette che abbiamo montato in postproduzione e che ci ha così permesso un più agevole scontorno.
How I did it:
40 pilots of “Moto 2”, all of them portrayed during the qualify sessions at the Mugello circuit: Problem: One or two minuts for each pilot, to be shot in very little boxes, with bikes, mechanics, wheels and stuff all around, but I needed the same very soft light for all of them. Solution, also shown in the drawning: We taped a little pale blue backdrop (same color of the cloudy sky we put later on post production) somewere in the box, put the pilot in front of it, the little flash on the body camera (full auto) turned on my back reflecting the light on a cardboard handled by my assistent. It works!
Qui sotto Claudio ed io pronti all'azione con i nostri fondalini...La foto è di Gigi Soldano
Riders magazine
July issue
"Celo manca"
Photo editor Stefania Molteni
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"Style Piccoli" magazine, July-August issue.
Piccola preview e backstage di un servizio di moda per "Style Piccoli" scattato a Milano allo spazio "Lambretto project" durante la mostra "13.798 grammi di design" a cura di Maria Cristina Didero e Susanna Legrenzi. la mostra è purtroppo già conclusa (le foto le abbiamo scattate tempo fa ed era l'ultimo giorno d'apertura) ma lo spazio, in zona Lambrate, è molto bello e va tenuto d'occhio per le sue mostre e iniziative.
"C'è chi tira troppo la corda.."
Style Piccoli magazine
July-August issue
Styled by Daniela Stopponi
Backstage photography by Claudio Rizzolo.
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"Avedon: At work In the American West" By Laura Wilson.
“Richard Avedon was fifty-five years old in October of 1978 and at the top of his game”
Spendido, secco inizio per il libro che racconta in preziose immagini di backstage la personalissima epopea del fotografo Richard Avedon che culminerà con il libro e la mostra “In the american West”
Eh, si, nel ’78, a 55 anni Avedon era probabilmente il più famoso, e ricco, fotografo americano.
Fotografo di moda al top assoluto, appena celebrato da una retrospettiva al Metropolitan Museum of Art, ritrattista ormai leggendario, avendo già largamente fotografato tutti i potenti della terra, compresi quattro presidenti degli stati Uniti e, unico fotografo nella storia ad apparire sulla copertina di Newsweek.
“Volevo che l’energia della persona venisse fuori dal bianco, vivida e unica, senza la distrazione del paesaggio” dice Avedon descrivendo la scelta di fotografare il suo “Far-West” americano davanti ad un fondale di carta bianco, e ancora “ Nel West, ho lavorato con grande, grandissima, intensità. Ho fotografato ciò che mi fa più paura: invecchiare, la morte, e la disperazione di vivere.”
Mandriani, ladruncoli, carcerati, minatori, operai, vagabondi.
E’ nelle loro facce che Avedon ricerca la chiave dei suoi sentimenti più ancora che la descrizione di un popolo. Il West è una frontiera, terra di conquista. In quel confine Avedon cerca, e trova, i volti che daranno la forma che mancava al suo lavoro e, forse, al suo travaglio interiore.
Sei estati di lavoro, dal 1979 al 1984.
Avedon, i suoi due assistenti e Laura Wison attraversarono 17 stati e fotografarono in 189 città.
752 persone furono ritratte per questo progetto e furono scattati 17.000 negativi in bianco e nero in formato 20x25,
123 furono i ritratti scelti per la mostra. I negativi sono conservati negli archivi del museo e, secondo precise indicazioni di Avedon, non potranno mai essere ristampati.
Tutti gli altri negativi sono stati distrutti.
Il curatore del museo, Mitch Wilder, il primo a credere a “ In the American west” e ad ottenere i finanziamenti per questo enorme progetto morì di leucemia fulminante nel 1979, senza mai averne visto neppure uno scatto.
Dettaglio di stile: La valigia di Vuitton.
La triste storia di Benson James. Morto nel 1980. cinque anni prima dell'inaugurazione della mostra.
Lavorando a tempo pieno su questo progetto, Ruedi Hofmann e David Liittschwager impiegarono un anno e mezzo per realizzare le 123 stampe per la mostra.
Nell’estate del 2003 Avedon torna in Montana. Ha quasi 80 anni. Tra le altre, ha seguito negli anni le travagliate vicende della famiglia di un piccolo allevatore, Robert Wheatcroft. Si incontrano, parlano a lungo. Incontra anche uno dei figli, ormai grande; Tutto è cambiato, negli anni: Non più fattoria, non più bestiame.
In auto, tornando all’aereoporto confida alla Wilson: “ Veniamo, scattiamo le nostre foto e ce ne andiamo.... Mi sento come se stessimo disertando. Vorrei non aver mai smesso di fotografare la gente che abbiamo incontrato. Vorrei che questo progetto fosse durato tutta la mia vita”.
Per me, questo libro è un must assoluto. Si può ordinare con Amazon.com
"Avedon at work in the american West"
Laura Wilson
University of Texas Press, Austin.