Mounting "Giacomina" in Capalbio, circa 1985.
Si intitola “
L’era del cinghiale rosso”, e promette fin dalla copertina di svelarci “
tutto su Capalbio”.
Ora, a parte i più giovani o gli estremamente disattenti alle cronache mondano-politiche, credo che tutti hanno in qualche modo sentito parlare di questo luogo che è stato raccontato, spesso con una malcelata spocchia ironica, come la patria d’ elezione vacanziera di una certa “intellighenzia” della sinistra, da
Occhetto a
Petruccioli,
Ferrara, per arrivare, in tempi più recenti addirittura alla famiglia
Jovanotti.
Il libro della
Nuvoletti cerca di fare un po’ di giustizia, è scritto in modo carino e frizzante e non trascende mai nel gossip.
Ma purtroppo il romanzo è poco più di una lunghissima lista di nomi, di chi c’era, dove e quando (ci sono persino io, a pag. 50), e di chi non c’era, ma, a mio parere, manca in quello che riconosco essere un compito veramente arduo, e cioè spiegare perché un paesotto maremmano, non bellissimo, immerso in una campagna non indimenticabile, e con un mare non proprio caraibico sia stato per anni uno dei posti più fighi del pianeta.
Lo dico a ragion veduta dato che a
Capalbio ci sono stato appunto, per anni, dormendo prima in spiaggia, poi da amici, o affittando negli anni varie case, comprese quelle “inarrivabili” della
S.A.C.R.A. con l’accesso al mare.
Capalbio era il far West. Ci sono arrivato nel 1981, avevo 24 anni.
Andavo in vacanza, credo all’Elba, e sulla via per Piombino passai da Capalbio a casa di
Amilcare e Mariuccia Ponchielli, amici più grandi di me.
Vicino a casa loro c’era un maneggio. Poco più di una baracca e qualche posta. Cavalli maremmani, teste dure e un cavalcante,
Fabrizio Maj, baffi neri, il toscano sempre in bocca, non ricco, anzi, povero. Però con gli stivali da cavallo più belli che abbia mai visto. Carisma a pacchi.
Inutile dire che all’Elba non ci andai mai.
Philippe Daverio era sempre lì, brillante, antipatico, gran cavaliere, colto, ricco. Altra gente era lì, gente di cui ho imparato i cognomi nel libro della
Nuvoletti.
Lavoravo per
Amica, facevo già copertine, ma pulivo le stalle di
Fabrizio. Montavo
Giacomina, una cavallina sarda velocissima e pazza che amavo molto e che ho poi comprato. Portavamo a spasso a cavallo
Enrico Manca che allora era il presidente dellla
Rai, socialista, sicuramente una potenza, tranne che a
Capalbio.
Venivano a montare notai e avvocati da Roma con i
BMW o le
Mercedes parcheggiate nella fanga, le caprette di
Fabrizio gli saltavano sui cofani lasciando tracce indelebili.
Dormire in spiaggia o in macchina, perché non c’erano alberghi. La parola “agriturismo” fortunatamente non era nemmeno stata coniata. Non c’era niente, solo caldo torrido e zecche sotto le code dei cavalli, ed esseri umani.
Credo che
Capalbio è stato per anni il luogo più trasversale d’Italia.
Non so se c’entrava davvero la “sinistra”, tutto sommato, non credo.
Era un luogo tosto, e dovevi essere te stesso. Il mare, le storie, le case, i cavalli, la caccia: a
Capalbio c’era tutto questo, e non ti potevi nascondere dietro ai soldi o al tuo status, I soldi non contavano niente perché
Capalbio non si poteva comprare.
Ma il tempo scorre, le cose cambiano. Cambiano le persone e le regole del gioco e alla fine degli anni ottanta stava cambiando la mia vita ed era cambiata Capalbio.
Il maneggio ora si chiamava “
Circolo Sant’ Irma”, con annesso ristorantino “giusto” e bar. Una sera, parcheggio, entro. Volevo un caffè. Ma un gigante vestito di nero mi ha fermato: “ Spiacente ma c’è una festa privata, dei
Gancia”.
Era finita, e da allora non ho mai più messo piede a Capalbio.
Non ho nessun rimpianto, però era bello, bellissimo. Tutti quelli che l’anno vissuta e amata cercheranno, come
Giovanna Nuvoletti nel suo libro, o come me in questo blog, di spiegare a chi non c’era che cos’era "quella cosa" e quanto si sono persi, ma è difficile, forse impossibile, specialmente oggi che il denaro sembra poter comprare tutto.
Giovanna Nuvoletti
"L'era del cinghiale rosso"
Fazi Editore.Euro 18,50
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