Analog rehab.



Una pista è una pista, ma Monza è un’altra cosa.
E' speciale, così perduta dentro a questo grande parco, Monza lasciata da sempre un po’ andare.
Monza per me sono mezzogiorni assolati di prima estate, quand’ero proprio ragazzo. Andavamo a vedere le macchine, qualche rara volta c’erano le moto.
La curva parabolica, le reti, sbirciare nei box dove non potevi assolutamente andare. Non avevamo mica i biglietti, scavalcavamo.
Il panino lo portavamo da casa.
Io facevo le foto con la Yashica di mio padre. Con l’obiettivo 50, il normale. Una parola che dice tutto, e che soprattutto, a Monza, serve a poco.
In camera oscura, a casa, con l’ingranditore, cercavo di enfatizzare al massimo le macchine o le moto. Le foto si sgranavano e mi eccitavo quando nel rullino trovavo un panning* venuto bene o una Giulietta in curva su tre ruote.

“Facciamo un servizio su Monza, ma lo vorrei scattato come una volta, tutto in pellicola”

Me lo chiede, guarda caso, Stefania Molteni, photeditor di Riders, che di tutto il mio passato a Monza non sa nulla, ma di come vanno le tendenze della fotografia ne sa parecchio.

E così - grazie mille - ci sono tornato, proprio come una volta, con due corpi Nikon senza motore. Niente digitale, lasciata proprio a casa.






Coincidenze.
Perché io sono in piena rieducazione analogica.
Ora racconto: un po' di tempo fa ero in crisi. Odiavo ormai la mia G10 che tra quando schiacci e quando scatta passano ore.
L’ IPhone? Lo uso, naturalmente. E' la Polaroid di questi tempi.
Ho chiesto in giro. Gli amici mi hanno detto: “prova questa, la usa anche Terry” o “prova questa, la uso anch’io”
Mi entusiasmavo - per tre secondi - poi tristezza.
Mi sembravano tutte così brutte.
Così ho aperto la mia blindata. Dico, qualcosa troverò magari qui.
E ho tirato fuori la mia Nikon F3.
Gli ho messo dentro un rullino di HP5, 400 Asa, bianco e nero, 36 pose.
E da quel giorno sono proprio felice.
E’ bella la resa della pelle, con la pellicola. Niente Photoshop. Lo sfuocato è delicato, poetico.
Quando inquadro, ci vuole un po’ per impostare tempi e diaframmi e mettere a fuoco. Non puoi avere fretta. E fai giusto "Click".
E quel click non è un suono astratto, digitale.
E’ dovuto a una tendina, a un diaframma, a uno specchio. Roba che si muove veramente e che muovendosi fa rumore.
Sul dorso della macchina non c’è niente. Non c’è uno schermo da fissare come un babbeo tra una raffica di scatti e l’altra.
Con la pellicola devi aspettare, anche giorni.
E l’attesa è dolce di fantasie sulle tue foto: come saranno?
“Speriamo che siano venute”. Che bella frase. Piena di speranze, di desiderio. Di amore.
Le persone amano farsi fotografare con una macchina a pellicola.
Non saprei dire esattamente perché, probabilmente il mio atteggiamento è diverso.
Sono più rilassato, meno legato al risultato.
L’esperienza del ritratto si fa più concreta, più vera. Più importante.
In tutto questo non c’è niente di veramente nuovo per me.
Ho scattato in pellicola per quasi trent’anni, ma questo è il momento di un ritrovato amore.
Come una persona che credevi di aver perduto e che oggi inaspettatamente ritrovi. Ti accorgi di quanto ti era mancata, di quanto la tua vita fosse fredda e vuota senza di lei.
Una persona con la quale puoi essere proprio te stesso, pienamente, di nuovo, finalmente.

Riders
June Issue.
"Domenica sono andato a Monza ( per l'ultima volta forse)"
Photographed by Toni Thorimbert
Photo Editor: Stefania Molteni


Dedico questo post alle mie figlie Gia e Diana.
Naturalmente fotografate con la mia Nikon.



Credits:
Gia + Diana photographed by Toni Thorimbert using a Nikon F3
Toni Thorimbert photographed at Monza circuit by Stefania Molteni using Iphone
The "Nikons" photographed by Toni Thorimbert using Iphone + Instagram App.

* il "panning" è una tecnica con la quale si fotografa un soggetto in movimento seguendolo con la fotocamera in modo che lo sfondo risulti mosso.


English translation
A track is a track, but Monza is a different story.
It is special, so lost within this great park, Monza always left somehow to itself.
Monza means to me sunny noons in early summer, when I was a kid. We went to see the cars, on rare occasions there were motorcycles.
The parabolic curve, the nets, the peeks into the box area that was absolutely inaccessible. Having no tickets, we trespassed.
We had sandwiches brought from home.
I shot pictures with my father’s Yashica. With the 50mm lens, the normal one. A word that says it all, and most importantly, in Monza, is quite useless.
In the darkroom, at home, with the enlarger, I tried to emphasize the most of the cars or motorbikes. The photos grained out and I was excited when in the roll I found a good panning* or a “Giulietta” car bending on three wheels.

"Let’s do a reportage of Monza, but I would want it shot as in the past, all with film."

Asking me this, strangely enough, is Stefania Molteni, photo-editor for Riders Magazine, who does not know anything of all my past in Monza but knows a lot about the trends of photography.

So - thank you very much - I went back there, just as those times, with two Nikon bodies without any motor. No digital at all, I left it at home.

Coincidences.
Because I am in full analog rehab.
Now the story: some time ago I was in crisis. I hated my G10 camera that had ages of click delay.
IPhone? I use it, of course. It is today’s Polaroid.
I asked around. Friends told me: "Try this, even Terry uses it" or "Try that, I use it myself"...
I got excited - for three seconds - then just frustrated.
They all seemed so ugly.
So I opened my vault. I said to myself, maybe I'll find something here.
I took out my Nikon F3.
I loaded a roll of HP5 film, 400 ASA, black and white, 36 poses.
And since that day I'm really happy.
The texture of the skin is beautiful, with film. No Photoshop. The focus is delicate, poetic.
When I frame, it takes a while to set shutter speed, aperture and focus. You can’t be in a hurry. And then you just do the "Click".
That click is not an abstract, digital sound.
It’s due to a shutter curtain, a diaphragm, a mirror. Stuff that moves, and that makes noise by moving.
On the back of the camera there is nothing. No screen to look at like a sucker between a burst of shots and the other.
With film you have to wait, even days.
And the wait is sweetly filled with fantasies about your photos: how will they be?
"I hope they come out." What a beautiful phrase. Full of hope, of desire. Of love.
People love to have their pictures taken with a film camera.
I can’t say exactly why, probably my attitude is different.
I am more relaxed, less tied to the result.
The experience of portrait becomes more concrete, more real. More important.
In all this, there is nothing really new to me.
I have been shooting with film for almost thirty years, but this is the time for a rediscovered love.
Like a person you thought you had lost and now you unexpectedly find again. You realize how much you have been missing her or him, how your life was cold and empty without that.
A person with whom you can just be yourself, fully, again, finally.

Riders
June Issue.
"On Sunday I went to Monza (maybe for the last time)"
Photographed by Toni Thorimbert
Photo Editor: Stefania Molteni

I dedicate this post to my daughters Gia and Diana.
Of course photographed with my Nikon.

*The "panning" is a technique by which you shoot a moving subject following it with the camera, so that the background appears blurred.

Translation by Francesca Stella.


Click on the pictures to enlarge.







5 commenti:

David Hatters ha detto...

Concordo appieno!!
Io, nel mio piccolo, da quando ho riscoperto il rullino l'anno scorso non ho più smesso. E' poesia, è amore, è verità.
Un modo diverso di fare fotografia.
Un modo puro.

Manuki ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Unknown ha detto...

Bellissimo articolo.
Grazie da uno che è in rehab. da un anno e ci resterò.
Buon lavoro.

Anonimo ha detto...

anche io ho provato le stesse emozioni quando sono tornato all'analogico.. emozioni davvero forti anche se adesso mi sono abituato anzi riabituato e tutto è diventato normale, anche se l'emozione c'è sempre..

Silvio ha detto...

Mi fanno molta tenerezza le tue parole, perché sono quelle di un amatore, ma non inteso nel classico modo per distinguere chi lo fa per professione da chi lo fa per passione (che molto spesso è solo la partita IVA che li distingue, visto che molti si improvvisano mestieranti, e non solo in fotografia; per non dire anche del contrario, mi viene in mente Mario Giacomelli che di professione faceva tutt'altro), ma di chi la fotografia la ama davvero perché ne ha fatto suo il significato.
Mi piace il fatto che hai sottolineato il differito e la distanza, quel vuoto tra l oggetto e l immagine che costituisce lo stadio del negativo, che con il digitale non esiste più.
Saluti
Silvio