Summer readings: "Durante" by Andrea De Carlo, and much more...


Andrea De Carlo, fotografato per Amica al giardino zoologico di Milano nel 1984



Agosto 2008

Andrea De Carlo è un grandissimo scrittore, anche se non tutto quello che pubblica mi piace ( e quando non mi piace, purtroppo mi irrita).
Ma quello che mi piace, mi entusiasma.
Per esempio “Treno di Panna”, e poi “Due di due” e quest’ultimo: ”Durante”, un romanzo davvero molto bello che ho letto tutto d'un fiato.

Riporto qui alcune righe dal risvolto di copertina:
"...Durante (il personaggio principale del romanzo. N.d.A) si insinua inesorabilmente nelle esistenze normalizzate e piatte del gruppo di persone (e di chi legge) e a poco a poco ne individua i limiti, le fragilità, quasi volesse col suo porsi innocente e sincero fino alla durezza, scardinare la parete di vetro dietro la quale quelle persone vivono da tempo" (e.s.)



Alberto Moravia, fotografato nella sua casa romana per "Amica", 1984.


E poi un racconto: “Il fotografo e lo scrittore”, scritto nel 1985 per una mia mostra (“Grandi ritratti”, Galleria Il Diaframma, Milano, 1985) dove De Carlo racconta l’incontro tra me e Alberto Moravia, pur senza mai nominarci, come lui se lo è immaginato (a partire dalla foto pubblicata qui sopra).

Questo testo, e la sua traduzione inglese sono stati pubblicati prima d’ora solo su "Thorimbert_Carta Stampata” (Nepente/La Meridiana editore, 2006)

"Il fotografo e lo scrittore"
Di Andrea De Carlo

Un’anziano e famoso scrittore guarda l’orologio perché un fotografo sta per arrivare; va alla finestra e guarda giù nella strada. Torna a sedersi alla scrivania ma non c’è niente che possa fare in così poco tempo. Va in bagno, si guarda allo specchio; si aggiusta i capelli, le sopracciglia. Pensa che non ha nessuna voglia di mettersi in posa, che ci sono già abbastanza sue fotografie nelle redazioni di ogni rivista e giornale. Gli sembra che la camicia che indossa abbia un colore sbagliato; va a mettersene un’altra. Pensa ai molti modi in cui ha visto la sua faccia riprodotta fin’ora, tutti in fondo deludenti rispetto a come se la vede adesso allo specchio.
Gli viene in mente l’atteggiamento da rapinatori di molti fotografi, il loro modo di entrare in casa e trasformarsi appena tirano fuori la macchina, cambiare tono e sguardo; il loro puntare subito ad un effetto: ad una mandibola ingrandita, un naso rafforzato, un’espressione amplificata fino a renderla quasi caricaturale. Lo scrittore sente il panico salirgli dentro; va di nuovo a guardare dalla finestra. Il campanello suona. La cameriera scivola fuori dalla cucina e va ad aprire.
Lo scrittore va avanti e indietro nel soggiorno dov’è appeso un suo ritratto ad olio; ascolta apprensivo voci e suoni che vengono dall’anticamera. Va verso la porta, e simultaneamente il fotografo gli viene incontro. Ed è magro, vestito di nero, con capelli a ciuffo corti sulle tempie, basette che quasi gli raggiungono il mento. Ha un paio di scarpe a punta di finto leopardo; uno sguardo gentile che certo nasconde sentimenti di altro genere. Lo scrittore guarda la porta, ma già un assistente viene avanti, trascinando borse e cavalletti.
La voluminosità degli attrezzi gli fa crescere il panico, moltiplica le sue apprensioni.
“Usate tutto questo?”, chiede indicando il bagaglio sul pavimento.
“Si”, dice il fotografo, e già il suo sguardo ha cominciato a trasformarsi.
Lo scrittore dice: “Dove mi devo mettere?”. Si guarda attorno, ma nessun punto gli sembra abbastanza sicuro. Il fotografo dice:
“Dove preferisce lei”, e intanto a occhiate sta sondando la stanza in varie direzioni. Indica un punto, dice:
“Perché non proviamo lì?”.
Il suo tono è cortese, ma d’altra parte sa che lo scrittore non ha scampo.
Lo scrittore va al punto indicato sperando che succeda qualcosa prima che ci arrivi. Dice: “Va bene?”. Il fotografo non lo stà nemmeno guardando, studia la luce che arriva dalla finestra. Dice:
“Ahà”. Lo scrittore si siede. Il fotografo lo osserva da qualche passo con la testa inclinata, viene più vicino, torna indietro. Fa cenno all’assistente di portargli la macchina. Non è nemmeno una macchina normale: è una grande scatola di metallo con un soffietto nero, come si usavano agli inizi della fotografia. L’assistente estrae da una borsa il cavalletto spesso e robusto come uno strumento da guerra; lo dispiega, allunga i tubi telescopici. Il fotografo avvita la macchina sul cavalletto, regola manopole con gesti meticolosi.
Si impunta, controlla di nuovo. L’assistente pare influenzato da lui, anche i suoi vestiti e la sua pettinatura sono simili. Segue i gesti del fotografo con attenzione, non sembra molto interessato allo scrittore. Lo scrittore guarda i due, e gli sembrano animali da preda: vellutati e silenziosi, sicuri di non lasciarselo scappare. Ripensa al suo tergiversare per telefono quando gli chiedevano un appuntamento e si stupisce di non essere riuscito a dire che non voleva fare nessuna foto. I due si offrono di passargli un poco di cipria sul naso e sulla fronte, se vuole. Lo scrittore dice che non importa, anche se in realtà detesta apparire lucido e sudaticcio nella fotografia.
La situazione ormai gli è sfuggita completamente. L’assistente accende le lampade: luce fredda investe lo scrittore. Il fotografo apre il soffietto della macchina, inserisce il telaietto del negativo, infila la testa sotto il panno nero. Da sotto il panno nero dice:
“Guardi più in qua”. Lo scrittore si guarda riflesso nell’ obbiettivo, distorto dalla vicinanza del cristallo convesso.
Senza sicurezza dice:
“Non sono troppo vicino forse?”. Il fotografo ha già le dita sul pulsante di scatto; dice:
“No no”, con una specie di dolcezza astratta e lontana.
Lo scrittore si contrae. Il fotografo scatta.

"The photographer and the writer"
by Andrea De Carlo

A well-known, elderly writer looks at his watch - a photographer is coming; so he goes over to the window and looks down into the street. He walks back and sits at his desk, there is nothing else he can do in such a short time. He goes to the bathroom, checks himself in the mirror, tidies his hair, smoothes his eyebrows. He doesn’t feel like striking poses again, there are enough pictures of him in any newspaper or magazine editorial office. The colour of his shirt looks wrong; so he puts on another. He thinks of the many ways he’s seen his face reproduced, all of them quite disappointing compared to what he can see in the mirror now.
It occurs to him how photographers act like robbers, the way they come into your house and seem to transform as soon as they take out their camera, the way they change tone and expression, the way they aim at a rapid effect: a bigger jaw, a more pronounced nose, an expression so blown up that it looks like a caricature. The writer feels the panic rising up inside; he goes back over to the window and looks out. The bell rings. His maid glides out of the kitchen and opens the door.
The writer walks back and forth in the living room where his oil portrait hangs, listens anxiously to the voices and sounds coming from the hallway. Just as he’s heading towards the door the photographer strides over to him. And he’s slim, dressed in black, short curls of hair on his temples, sideburns almost down to his chin. He’s wearing a pair of pointed fake leopard-skin shoes; a gentle expression no doubt concealing altogether different feelings. The writer looks towards the door, but an assistant is already stepping forward, dragging camera bags and tripods behind him.
The bulkiness of the equipment increases his panic, multiplies his fears.
“Are you going to be using all of this?” he asks, pointing at the baggage on the floor.
“Yes”, the photographer says, and his expression has already started to change.
The writer says: “ Where shall I stand?”. He has a look around, but nowhere feels safe enough. The photographer says:
“Anywhere you like”, and in the meantime his eyes are darting all around the room. He points to one place, and says:
“Why don’t we try there?”
His tone is polite, but in any case he knows the writer has no escape. The writer moves to the designated point, hoping something might happen before he gets there. He says: “Is this OK ?”. The photographer is not even looking at him, he’s examining the light coming from the window. He says:
“Uh huh”. The writer sits down. The photographer observes him from a few steps away, his head bent, comes closer, moves back. He gestures to his assistant to bring the camera. It’s not even an average camera: it’s a big metal box with black bellows, like the ones they used at the beginning of photography. The assistant digs out a tripod from a bag, and it is as thick and solid as a weapon. He unfolds it, pulls out the telescopic tubes. The photographer screws the camera onto the tripod, meticulously adjusting the knobs.
He fusses over it, checking it time and again. The assistant seems to be influenced by him, the same sort of clothes, the same hairstyle. He’s focused on the photographer’s gestures, apparently not very interested in the writer. The writer looks at the two of them, they look like predators to him: silent and smooth, confident that they won’t let him escape. His mind goes back to his hesitancy over the phone when they had asked him for an appointment, and he’s so amazed he couldn’t say no, I’m not in the mood for pictures. The two suggest powdering his nose and forehead, if he likes. The writer says it doesn’t matter, but in fact he hates looking sweaty and slimy in pictures.
The situation is now totally out of control. The assistant switches the lamps on: a cold light hits the writer. The photographer pulls out the bellows, slides in the plate, tucks his head under the black cloth and says:
“Look over here”. The writer sees himself reflected in the zoom, distorted by the proximity of the convex lens.
He says hesitantly:
“Am I perhaps too close ?”. The photographer already has his fingers on the shutter:
“No, no” he says, with a sort of abstract, distant sweetness.
The writer freezes. The photographer shoots.

Andrea De Carlo


DURANTE
Andrea De Carlo
Bompiani Editore

Per saperne di più:
www.andreadecarlo.com
www.cartastampata.com

Clicca sulle foto per ingrandirle/Click on the pictures to enlarge.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

imparato molto

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e