"Facce da Giro ( d'Italia) " a portrait essai for Sportweek magazine.
Assisi. Qui abbiamo avuto fortuna. Giorgia Wurth, madrina del Giro in copertina: "Sai, vorremmo lei, con la maglia rosa, e tutta la copertina piena di facce"... Mica come dirlo. E poi, che facce? diciamo la verità, in giro c'è di tutto, non a caso è gratis: L'unico sport - importante - che ti passa sotto casa. Puoi scendere in ciabatte. Facciamo qualche prova, Giorgia, poverina, messa in mezzo a sconosciuti sudati ed urlanti. In lontananza una scalinata, il tempo stringe, facciamo di corsa il giro di cancelli, e guardie, e Pass. Ma ci arriviamo. Io non vedo niente, se non il quadratino rosso dell'autofocus della mia Canon sul viso della Giorgia.
Non è andata male. Italiani veri, ma carini, qualche vecchietto esagitato, ma folkloristico, bambini ciclisti, e... "Per sempre Pantani" un cartello che sventolato oggi alla tappa Civitavecchia - Assisi del Giro è come un grande regalo mandato da chissadove. Grazie.
Grazie anche a Matteo Dore, il direttore, che dedica l' editoriale alla genesi del ritratto di Purito Rodriguez, maglia rosa indossata proprio in questa tappa, baciato indelebilmente dalle Miss e dal suo talento. La foto piace anche a me, devo dire. Perchè del ciclismo, che guardavo da bambino in tv, io ricordo solo le miss e il loro bacio. Le miss belle, alte e i ciclisti molto più bassi, esausti e con facce e pettinature molto semplici. Roba d'altri tempi, oggi sono fighetti anche molti ciclisti, ma il bacio è rimasto, e il suo segno, pure.
Qui sotto un paio di immagini dal backstage: La maglia rosa Rodriguez, la Giorgia, con la sua, altrettanto meritata. Sullo sfondo, Matteo Dore con Pierbattista Bergonzi, giornalista che del giro tutto sa.
Non vorrei sminuire troppo le mie capacità professionali, ma anche per la foto qui sopra un pò di fortuna l'ho avuta. Dai, questa è bellissima, sopratutto se non hai mai fatto una foto di ciclismo in vita tua. Monti, il tonante direttore della Gazzetta l'aveva un pò chiesta: Il Giro, L'Italia, Assisi, lo sprint, l'arrivo... una foto che, insieme ai ritratti restituisse il senso, anche agonistico, dell'evento. Ma l'immagine che avevamo progettato a tavolino con Naima Mancini, photo editor, era stata superata, lì sul campo, per ragioni logistiche. Insomma mancavano due minuti all'arrivo e io, dal mio dedalo di cancelli dal retropalco dove facevo la guardia al mio fondo rosa sono andato a dare un occhio, "chissà, magari vedo qualcosa anche io..." Mi sporgo e vedo questa inquadratura, perfetta per il mio 300mm: Ali di folla, il cameramen, gli sponsor in un ottimo ti vedo e non ti vedo, il centro storico sullo sfondo, la luce calda del tramonto, e sopratutto la salita. Salita che, pare, sia l'anima del Giro, e che fa fare ai ciclisti quel bel movimento con la bici, tutta sbieca...
Domenica sera, ultime notizie: Purito Rodriguez non ha vinto il giro...si è fatto sfilare la maglia rosa all'ultima tappa, per soli 16 secondi, dal canadese Hesjedal.
Qui sotto: dopo i baci, le lacrime. La moglie di Rodriguez nasconde le sue dietro spesse lenti scure.
Sportweek magazine
"Facce da Giro"
Photographed by Toni Thorimbert.
Photo editor: Naima Mancini.
Thanks to Daniele Miccione, Pierbattista Bergonzi, Matteo Dore, and to the boss, Andrea Monti.
Backstage pictures by Giorgio Serinelli.
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Time flies. ( trilogia del tempo )
Nel 1992, "L'anima della ferriera".
Curato da Lanfranco Colombo, un bel volume, consolidata la formula: Diversi fotografi, ognuno, a suo modo, alle prese con una grande azienda, la "Ferriera Valsabbia".
Basilico, Radino, Gaiaschi, Soave, Giannini, Kirchner e altri.
Io avevo fatto, in bianco e nero e banco 20X25, i ritratti.
Operai, impiegati, dirigenti, Il capo Giovanbattista Brunori. Lui aveva sessant'anni all'epoca. l'anno scorso ne ha compiuti ottanta. Giacomo Bersanetti, grafico, art director, da sempre cura la loro immagine. Ha pensato ad un nuovo libro. Un regalo per il capo. E così sono tornato in Ferriera, dopo vent'anni. Il capo era sempre in gamba. Le foto a colori, gli operai tutti diversi, credo. Ora c'è qualche extracomunitario. Le facce sono più tese, un pochino. Facce di oggi. Vestiti di oggi. Sorrisi di oggi.
Il tempo è strano, in fotografia. Certo, fotografia - memoria.
Mi dà sempre una perversa vertigine, mettere vicino foto fatte a tanti anni di distanza.
I segni del tempo. Invecchiare. Certo, ma non è solo quello. Le foto rimangono mute, mi pare. Forse è una violenza. Oblitera brutalmente ciò che c'è stato nel mezzo, in tutto quel tempo. Mi sembra che finisce per sminuire le esperienze, la storia quotidiana delle persone.
Qui sotto un'altro esempio. Due foto a trent'anni di distanza. La prima a sinistra: In braccio ho Giacomo Esteva, figlio di amici, qualche mese di vita. Io, venti - e rotti - anni. La foto è del Tollini, vecchio fotografo storico a Milano. Oggi non c'è più, naturalmente. Un mesetto fa, in studio da me è passato Giaco a trovarmi. Non lo vedevo da una vita, era piccolo. Abbiamo giocato, con un certo imbarazzo da parte sua, a rifare quella foto. Buffo dettaglio: Giacomo oggi è batterista di una punk band. Io ero batterista. Sul bavero della mia giacca nella prima foto ci sono un paio di spille di gruppi punk dell'epoca: Dead Kennedys, Stiff Little Fingers. Il logo della sua maglietta discende direttamente dalle mie spille di allora.
Qui sotto, per chiudere: "Il tempo".
Era il tema che "Io Donna" aveva dato a molti fotografi di moda, qualche anno fa.
Scattai questa immagine a Lanzarote. Non so se bisogna spiegarla. Comunque volevo creare una riflessione tutta interna alla fotografia: Con un tempo d'otturazione della fotocamera molto veloce, un 2000esimo di secondo, avevo "bloccato" la caduta dell'acqua dal bicchiere, cercando così di fermarlo, il tempo.
"L'anima della Ferriera" ,1992.
"01-03-2011" ,2011
Art direction: Giacomo Bersanetti.
Photographed By Toni Thorimbert.
"Jaime and I". Photographed: Left by Tollini, 1979. Right, by Giorgio Serinelli, 2011.
"Il Tempo", 2008.
Photographed by Toni Thorimbert.
Styled by Silvia Meneguzzo.
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Riders, Monza, the NSU, the cover.
Scattata all'Autodromo di Monza, in buona parte sulla vecchia parabolica ormai chiusa alle corse, la prova della "balena blu": Una Audi NSU da corsa del 1954.
Oggetto di bellezza inaudita, mistica.
Tester d'eccezione Alvaro Cecotti, milanese, 76 anni, imprenditore.
Un "gentleman rider" che, a cavallo tra gli anni '60 e '70 ha fatto una decina di anni di gare, in strada e in pista.
Miglior risultato: nel 1972, secondo nella 500km di Monza.
La tuta che indossa nelle foto è la sua, originale di quegli anni.
Ci metterei la firma.
Qui sotto il backstage:
Riders magazine.
May issue.
"Brivido Blu"
The 250 NSU Rennmax, 1954"
Photographed by Toni Thorimbert
Photo editor: Stefania Molteni.
Backstage photography by Giorgio Serinelli.
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On the cover of "Image Mag". A new, big and glossy magazine about photography
Grazie a Mosè Franchi per l'intervista e la copertina di "Image Mag" un nuovo bimestrale di fotografia. Molto soddisfacente il formato, davvero oversize, e la stampa molto, molto curata. Costa otto euro e si trova qui e là, nelle migliori edicole e librerie e nel circuito di negozi di fotografia Photop.
Per saperne di più sui negozi Photop: http://www.photop.it
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Editor-at-large Matteo Oriani compares some types of self-portraits
C'è la grande moda dell'autoritratto.
Adesso poi, con gli apparecchi digitali, riempiamo Internet con le nostre facce, scegliendo il volto giusto per presentarci al mondo.
L'autoritratto ha radici profonde perché nasce dal bisogno di rappresentare la nostra identità attraverso una delle nostre tante maschere. E' una sorta di travestimento dedicato al nostro bisogno di vivere una “pluralità di vite” come diceva Freud.
L'autoritratto può anche essere un attestato psicologico di grande rilievo nella rappresentazione dell'"Immagine Interna" che si può raffigurare solo in parte con l'immagine esterna.
Vi propongo qualche esempio: Questo è un autoritratto di Pablo Picasso del 1896, quando aveva 15 anni
E' intitolato “Autoritratto con i capelli spettinati”.
In questo caso, si può parlare di un autoritratto realizzato per esplorare la molteplicità delle nostre “facce” o la nostra volontà di vivere una “pluralità di vite”.
Qui Picasso, nell'adolescenza, cerca una propria identità. Tutto vestito per bene, con la cura che ci aspetta da un ragazzo della sua età alla sua epoca, esprime il proprio estro creativo, forse ribelle, spettinandosi la zazzera.
Quest'altro, sempre di Picasso, è del 1972, dipinto un anno prima di morire, a 91 anni.
Adesso Picasso realizza un autoritratto che ha un simbolismo diverso rispetto al primo.
Va al di là o, se vogliamo, più nel profondo. Non rappresenta la sola faccia (esterna), ma anche una identità più profonda. Qui l'artista utilizza l'autoritratto non più per la volontà di vivere una “pluralità di vite”, ma come documento psicologico dove rappresentare la propria identità interna. In questo caso, la consapevolezza della fine della vita.
L'autoritratto ha il valore della testimonianza.
I ritratti, e di conseguenza gli autoritratti, si fanno per fissare un momento e rappresentare lo stato di quel momento.
E' come creare un proprio “doppio” che sopravvive a quel momento e rimane a testimonianza.
Ho trovato una interessante analogia con due autoritratti di uno stupefacente fotografo, Robert Mapplethorpe. Ecco il primo del 1980, realizzato quando aveva 34 anni
E' di una bellezza disarmante. Ha una intensità che solo da una persona con una sensibilità artistica molto sviluppata può ottenere. Eccolo lì, bello come il sole, innocente, intenso, sensuale, consapevole e disponibile. Nel pieno della vita e della bellezza. Scandalosamente raffinato.
Ed ecco il secondo, datato 1988, un anno prima della sua morte per AIDS:
Come Picasso, Mapplethorpe si guarda allo specchio, rilancia il suo sguardo su se stesso, su di noi e sulla morte.
Ma la grande potenza del ritratto sta nel modo con cui impugna il bastone con il teschio. La mano afferra la morte mentre il volto sembra allontanarsi sfuocato con un'espressione quasi di sfida, di consapevolezza, appunto.
Sarebbe meglio vedere questa foto dal vivo.
Su internet, ho visto cose orripilanti. E' fondamentale riconoscere il corpo dell'artista nero su fondo nero per apprezzare la composizione. Spesso le riproduzioni su internet sono troppo contrastate facendo perdere la postura di Mapplethorpe.
Mi sono divertito a trovare analogie tra diversi fotografi famosi.
Ecco, per esempio, un autoritratto di Richard Avedon:
E uno di Annie Leibowitz:
Si dice, no?: un fotografo, mentre con un occhio guarda in macchina con l'altro guarda dentro se stesso.
Qui sotto, ancora Avedon:
Elliot Erwitt:
Irving Penn:
Henri Cartier-Bresson:
Tutti con il loro apparecchio fotografico ben in vista a raccontare il loro rapporto con la macchina. Tutti tranne Cartier-Bresson, notoriamente molto schivo, che diventa tutt'uno con la fotocamera sostituendo il suo volto con l'obbiettivo.
Molti hanno fotografato le proprie ombre proiettando la propria immagine fuori da se stessi in una ricerca del proprio “doppio”: Quando guardarsi in faccia non basta più a restituire una immagine nella quale ci si può riconoscere.
Ancora Cartier-Bresson:
Ansel Adams:
Andre Kertesz:
e, dulcis in fundo... Matteo Oriani:
Matteo Oriani è un fotografo.
Colto ed acuto osservatore delle immagini e delle menti che le producono.
Insieme a Raffaele Origone forma il duo professionale Oriani-Origone.
Nelle loro foto danno vita ad oggetti altrimenti inanimati.
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Adesso poi, con gli apparecchi digitali, riempiamo Internet con le nostre facce, scegliendo il volto giusto per presentarci al mondo.
L'autoritratto ha radici profonde perché nasce dal bisogno di rappresentare la nostra identità attraverso una delle nostre tante maschere. E' una sorta di travestimento dedicato al nostro bisogno di vivere una “pluralità di vite” come diceva Freud.
L'autoritratto può anche essere un attestato psicologico di grande rilievo nella rappresentazione dell'"Immagine Interna" che si può raffigurare solo in parte con l'immagine esterna.
Vi propongo qualche esempio: Questo è un autoritratto di Pablo Picasso del 1896, quando aveva 15 anni
E' intitolato “Autoritratto con i capelli spettinati”.
In questo caso, si può parlare di un autoritratto realizzato per esplorare la molteplicità delle nostre “facce” o la nostra volontà di vivere una “pluralità di vite”.
Qui Picasso, nell'adolescenza, cerca una propria identità. Tutto vestito per bene, con la cura che ci aspetta da un ragazzo della sua età alla sua epoca, esprime il proprio estro creativo, forse ribelle, spettinandosi la zazzera.
Quest'altro, sempre di Picasso, è del 1972, dipinto un anno prima di morire, a 91 anni.
Adesso Picasso realizza un autoritratto che ha un simbolismo diverso rispetto al primo.
Va al di là o, se vogliamo, più nel profondo. Non rappresenta la sola faccia (esterna), ma anche una identità più profonda. Qui l'artista utilizza l'autoritratto non più per la volontà di vivere una “pluralità di vite”, ma come documento psicologico dove rappresentare la propria identità interna. In questo caso, la consapevolezza della fine della vita.
L'autoritratto ha il valore della testimonianza.
I ritratti, e di conseguenza gli autoritratti, si fanno per fissare un momento e rappresentare lo stato di quel momento.
E' come creare un proprio “doppio” che sopravvive a quel momento e rimane a testimonianza.
Ho trovato una interessante analogia con due autoritratti di uno stupefacente fotografo, Robert Mapplethorpe. Ecco il primo del 1980, realizzato quando aveva 34 anni
E' di una bellezza disarmante. Ha una intensità che solo da una persona con una sensibilità artistica molto sviluppata può ottenere. Eccolo lì, bello come il sole, innocente, intenso, sensuale, consapevole e disponibile. Nel pieno della vita e della bellezza. Scandalosamente raffinato.
Ed ecco il secondo, datato 1988, un anno prima della sua morte per AIDS:
Come Picasso, Mapplethorpe si guarda allo specchio, rilancia il suo sguardo su se stesso, su di noi e sulla morte.
Ma la grande potenza del ritratto sta nel modo con cui impugna il bastone con il teschio. La mano afferra la morte mentre il volto sembra allontanarsi sfuocato con un'espressione quasi di sfida, di consapevolezza, appunto.
Sarebbe meglio vedere questa foto dal vivo.
Su internet, ho visto cose orripilanti. E' fondamentale riconoscere il corpo dell'artista nero su fondo nero per apprezzare la composizione. Spesso le riproduzioni su internet sono troppo contrastate facendo perdere la postura di Mapplethorpe.
Mi sono divertito a trovare analogie tra diversi fotografi famosi.
Ecco, per esempio, un autoritratto di Richard Avedon:
E uno di Annie Leibowitz:
Si dice, no?: un fotografo, mentre con un occhio guarda in macchina con l'altro guarda dentro se stesso.
Qui sotto, ancora Avedon:
Elliot Erwitt:
Irving Penn:
Henri Cartier-Bresson:
Tutti con il loro apparecchio fotografico ben in vista a raccontare il loro rapporto con la macchina. Tutti tranne Cartier-Bresson, notoriamente molto schivo, che diventa tutt'uno con la fotocamera sostituendo il suo volto con l'obbiettivo.
Molti hanno fotografato le proprie ombre proiettando la propria immagine fuori da se stessi in una ricerca del proprio “doppio”: Quando guardarsi in faccia non basta più a restituire una immagine nella quale ci si può riconoscere.
Ancora Cartier-Bresson:
Ansel Adams:
Andre Kertesz:
e, dulcis in fundo... Matteo Oriani:
Matteo Oriani è un fotografo.
Colto ed acuto osservatore delle immagini e delle menti che le producono.
Insieme a Raffaele Origone forma il duo professionale Oriani-Origone.
Nelle loro foto danno vita ad oggetti altrimenti inanimati.
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