"Success is to accept ourselves": The interview by Bianca Bemori for "Foto-notiziario" magazine


A cominciare dalle coraggiose copertine di sola grafica e di un solo colore ( in questo numero, guarda caso - il nero ) il buon vecchio "Foto-notiziario" è cambiato parecchio.
Io lo ricevo da sempre, a dir la verità non so nemmeno bene perchè. Ok, forse perchè faccio il fotografo, ma - voglio dire - non l'ho mai pagato, e non ricordo di averlo mai richiesto.
Anche perchè, francamente, è sempre stato piuttosto bruttino e noioso, con atroci pubblicità di Mini-lab per fotonegozianti, prove di macchinette fotografiche e - nella mia percezione - zero fotografie.
Insomma il tragitto tra casella delle lettere e cestino dei rifiuti era diretto, senza tappa intermedia sul mio tavolo.
Adesso invece, anche grazie alla sinergia con l'AFIP di Giovanni Gastel, è diventato un giornale con ambizioni ben diverse.
Questo numero di giugno-luglio è quasi tutto dedicato alla foto sportiva: vela, calcio, nuoto, sci, e la bella chicca di una doppia pagina dedicata a Hugh Holland, mitico fotografo dei primi skaters di Los Angeles negli anni settanta.

Nonostante io non c'entri molto con la fotografia sportiva, in questo numero c'è anche una mia intervista dove, tra l'altro, si parla di quei famosi 200.000,00 euro che - a mio parere - e con lo scoramento di molti, sono l'investimento minimo necessario per costruirsi una carriera fotografica decente.

Si intitola: "Accettare se stessi". Eccola:


Sfida e provoca.
Ma lo nega: “Io un fotografo irrivente?”, sorride sornione. “E perché? Non è vero. Scrivono molte cose…”.
Un primo esempio: ai suoi workshop tuona che per essere dei fotografi che lasciano il segno bisogna “accettare se stessi”.
Semplice e difficilissimo.
Ma questo che c’entra con obiettivi e inquadrature? “C’entra con il diventare un fotografo con un proprio personale punto di vista sulle cose. Si può ottenere soltanto riconoscendo i propri desideri e i propri bisogni profondi e comprenderli. Questo significa accettare se stessi”.
Il mirino sulla stessa linea dell’inconscio, si potrebbe dire, parafrasando Henri Cartier – Bresson.
“Oggi è ancora più importante tenere conto di questo principio, perché con le macchine digitali si può facilmente fare una bella foto, ma non per forza la "propria" foto, quella che racconta come si sente, come si vive, come si subisce e come si assaggia quello che sta intorno a noi”.
Ma neppure questo basta per uscire dal branco.

“Per diventare fotografi fuori dalla mischia bisogna almeno investire 200 mila euro. E’ fondamentale”.
Detto fatto? “Non scherzo. Affermo questo perchè ritengo sia necessario studiare, viaggiare, leggere, fotografare, aggiornare attrezzature e macchine. E tutto questo costa”.
Ecco quindi la mia versione dei fatti: Toni Thorimbert ha idee intelligenti, e per alcuni spiazzanti, e le comunica in modo diretto. Tutto qui.
Niente a che fare con l’irriverenza, ma molto in comune con una propria, decisa, visione del mondo. “Perché ho fatto il fotografo? Volevo raccontare il mondo. E all’inizio ho fatto del reportage, poi sono passato alla fotografia moda che difatto è una metafora del mondo: il mondo come fantasia del mondo”.
Però i servizi li ha catapultati nella stessa realtà che perlustrava poco prima.
Un esempio è la sua “donna sulle macerie”: una modella con uno straordinario abito bianco cammina su tracce di mattoni e cemento, i resti di qualcosa che è crollato. “E’ una foto del 2006, vuol dire: camminiamo elegantemente vestiti per un mondo in inesorabile caduta. E in questo mi riferivo anche all’universo della moda. Oggi in Italia probabilmente non è più possibile fare una foto così. C’e molta crisi e il vestito è diventato centrale in ogni foto. Inoltre ci rivolgiamo anche ai mercati emergenti, che hanno dei riferimenti diversi dai nostri. Quindi dobbiamo essere più semplici e chiari”.


Ma le sue donne però continuano a essere poco comuni. Sono molto vive e piuttosto uniche. A partire dal fatto che non sono mai ferme: stanno per andare via, per arrivare, per fare qualcosa che non si sa. E a volte sembra che danzino: “Davvero? Forse perché io sono sempre in movimento. E sono molto veloce. Quindi lo trasmetto. Mi arriva dal reportage”.
Toni Thorimbert ha iniziato a 17 anni, col catturare gli sguardi di sfida dei ragazzi di Pioltello, la periferia dove è cresciuto, e ha continuato con le tensioni sociali e politiche degli anni ’70, gli anni delle manifestazioni, dei comizi, degli scontri di piazza, per poi dedicarsi al ritratto: “Sono passato dal riprendere tante facce a un sola…”.
Nel suo ricchissimo portfolio molti ritratti colpiscono nel segno: c’è l’anima della persona, come dicono gli islamici. “No, non sono d’accordo con questo modo di dire. Il ritratto è il risultato di una relazione che si crea tra il fotografo e il soggetto nell’istante in cui la foto accade. E’ l’esperienza di un incontro. Direi che un buon ritratto è un po' come una S.r.l: due persone insieme per un progetto, ma ognuna esiste per se stessa. Quello di Alberto Moravia è, a questo proposito uno scatto che immortala “una non relazione”: lui non era molto in vena di farsi fotografare”. Ma secondo me, in quella foto c’è anche lo scrittore schivo degli inizi, quello degli "Indifferenti".
Così come in quella di Vittorio Mezzogiorno che sembra stia per spiccare un volo c’è la natura profonda di un attore che ha saputo volare, appunto, oltre certi confini. Dal teatro classico alla tv all’avventura teatrale del Mahabbarata di Peter Brook, lo spettacolo durato 9 ore su un’opera epica indiana. Mica poco. “E’ vero, qui sembra volare”, abbozza. “Era già molto malato e lo sapeva… Ma si, forse qui c’era tutta l’energia per vincere una battaglia”.

Insomma quell’inquadratura ha catturato la forza dell’ultimo volo. Tutto questo perché: “E’ importante non avere già in testa come sarà il ritratto: alcuni lo vedono come specchio di loro stessi, ma io credo che bisogna fare come quando si fa un reportage: stare a vedere cosa accade, essere un testimone. La macchina fotografica ci aiuta, è ermafrodita: maschile perché penetra le situazioni, femminile perché è in grado di accoglierle”.


E le sue macchine fotografiche sono state, negli anni: Nikon e Olimpus per il formato 135 e il banco ottico Toyo 10x12: “Facevo tutto con quello: ritratti, moda, ma anche reportage, foto in movimento. Per un periodo ho usato molto la Mamiya 6X7 e la Pentax 645, specialmente quando lavoravo per Vogue e L’Uomo Vogue. Da metà degli anni ’90 ho incominciato ad usare la Rollei biottica 6X6. Oggi uso Canon e Hasselblad digitali, la Rollei e la Nikon F3 con la pellicola”.

Astrid Bianca Bemori

English translation:

Starting from the bold cover with monochrome graphics (in this issue, strangely enough - black), the good old "Photo-news" has changed a lot.
I have always received it, to tell the truth I don’t even know why. Ok, maybe because I'm a photographer, but - I mean - I've never paid for it, and I don’t remember having ever required it.
Also because, frankly, it's always been pretty ugly and boring, with terrible ads of mini-labs for photo dealers, tests of cameras and - in my perception - zero pictures.
So, the way from letter box to trash was direct, with no intermediate steps on my desk.
Instead now, thanks to the synergy with Giovanni Gastel’s AFIP, it has become a magazine with quite different ambitions.
This issue of June-July is almost entirely dedicated to sports photos: sailing, soccer, swimming, skiing, plus the beautiful gem of a double page dedicated to Hugh Holland, legendary photographer of the top skaters in Los Angeles in the seventies.

Although I haven’t much to do with sports photography, in this issue there is also an interview with me where, among other things, we talk about those famous 200.000,00 Euros which - in my opinion and to the discouragement of many - are the minimum investment required to build a decent photographic career.

It is entitled: "Accept yourself." Here it is:

He challenges and provokes.
But he denies it: "Me an irreverent photographer?", smiles slyly. "Why? It is not true. They write a lot of things ... ".
A first example: in his workshops he proclaims that to be a photographer who leaves a mark you must "accept yourself."
Simple and tough.
But what has this to do with lenses and framing? "It has something to do with becoming a photographer with his own personal point of view on things. It can only be achieved by recognizing your desires and deepest needs and by understanding them. This means accepting yourself".
The viewfinder on the same line of the unconscious, one might say, to paraphrase Henri Cartier-Bresson.
"Today it is even more important to take this principle into account, because with digital cameras you can easily make a nice picture, but not necessarily "your" photo, the one that tells how you feel, how you live, how you suffer and taste what's around you".
But not even this is enough to emerge from the crowd.
"To become photographers out of the fray you must invest at least 200.000 Euros. It’s key".
Said and done? "I'm not joking. I say this because I think it is necessary to study, travel, read, photograph, update equipment and cameras. And all this has a cost".
Here is my version of the facts: Toni Thorimbert has clever ideas, and for some unsettling, and communicates them directly. That's it.
Nothing to do with irreverence, but a lot in common with one’s own, determined, worldview. "Why I became a photographer? I wanted to narrate the world. And at first I did reportage, then I switched to fashion photography that in fact is a metaphor for the world: the world as imagination of the world".
Hence, he projected his assignments into the same reality he was exploring before.
An example is his "woman on the ruins": a model with a stunning white dress walking on traces of bricks and concrete, the remains of something that has collapsed. "It is a photo from 2006, and it means: let’s walk elegantly dressed through a world in inexorable fall. And through this I was referring also to the universe of fashion. Probably today in Italy it is no longer possible to take a picture like that. The crisis is serious and the dress has become key in every photo. In addition, we are also turning to emerging markets, which have references different from ours. So we have to be more simple and clear. "

His women, however, continue to be uncommon. They are very much alive and quite unique. Starting from the fact that they are never still: they are about to go away, to arrive, to do something that no one knows. And sometimes they even seem to dance: "Really? Maybe because I'm always moving. And I am very fast. So I transmit that. This comes from reportage".
Toni Thorimbert began at the age of 17, by capturing the daring looks of the children from Pioltello, the suburbs where he grew up, and continued with the social and political tensions of the '70s, the years of demonstrations, rallies, public clashes, and then devoted himself to portrait: "I went from capturing many faces to a single one...".
In his rich portfolio many portraits hit the mark: there is the soul of the person, as the Islamists say. "No, I do not agree with this common saying. The portrait is the result of a relationship that is created between the photographer and the subject at the moment when the picture happens. It’s the experience of an encounter. I would say that a good portrait is a bit like a Ltd: two people together for a project, but each one exists for itself. The one with Alberto Moravia, in this regard, is a shot that captures a "non-relationship": he was not in the mood to be photographed". But according to me, in that picture there is also the writer of the earlier times, the one of the "Indifferents".
As in the one of Vittorio Mezzogiorno, who seems to be about to fly away, there is the profound nature of an actor who was able to fly, in fact, beyond certain boundaries. From classical theater to the TV and to the theatrical adventure of Peter Brook's Mahabharata, the show based on an epic Indian play and that lasted 9 hours. Not bad. "It's true, here he seems to fly," hints. "He was already very ill and he knew it ... But yeah, maybe here there was all the energy necessary to win a battle."
So that shot caught the strength of the last flight. All this because: "It's important not to have already in mind how the portrait will come out: some see it as a mirror of themselves, but I think you have to do like when you make a reportage: wait to see what happens, be a witness. The camera helps us, is a hermaphrodite: male because it penetrates the situations, female because it is able to receive them. "

His cameras have been, over the years: Nikon and Olympus for 135 format and the Toyo 10x12 view camera: "I did everything with that: portraits, fashion, but also reportage, photos in motion. For a while I have been using a lot the Mamiya 6x7 and the Pentax 645, especially when I worked for Vogue and L'Uomo Vogue. From the mid-90s I started to use the bi-optical Rollei 6X6. Today I use Canon and Hasselblad for digital, the Rollei and the Nikon F3 for analog".

Astrid Bianca Bemori


Translation by Francesca Stella.

Foto-notiziario magazine
June-July issue.
"Success is to accept ourselves"
Toni Thorimbert interviewed by Bianca Bemori


Click on the pictures to enlarge.




1 commento:

Gian Pietro D'Aiuto ha detto...

Credo che Fotonotiziario arrivi ai soci di TAU Visual in quanto tali.
Già qualche giorno prima che lei ne parlasse qui, avevo avuto modo di leggere la sua intervista sullo stesso periodico che arriva pure a me senza che l'avessi mai richiesto.
Dato che l'unico collegamento tra me e lei - a parte la professione - dovrebbe essere l'iscrizione a TAU Visual, molto probabilmente ecco scoperto l'arcano.