FOTO Cult magazine, August issue.







Qui sotto una versione dell'intervista leggermente editata:

Romanzo minimale

Intervista di Emanuela Costantini.


In che modo ti sei avvicinato alla fotografia?
È successo grazie a mio padre che era un grafico
pubblicitario e un artista. Anch’io disegnavo bene,
così mi sono iscritto ai corsi di grafica della Società
Umanitaria a Milano, dove ho scoperto che c’era anche
un corso di fotografia e ho deciso di seguirlo. È
stato in quel periodo che mi sono avvicinato a scelte
culturali nuove per me. Ho imparato ad apprezzare il
cinema di maestri come Buñuel e Antonioni, ho assorbito
avidamente la loro lezione.

Nei primi anni della tua carriera eri un fotografo di
reportage, impegnato soprattutto nella fotografia
sociale. Era la seconda metà degli anni Settanta,
un periodo difficile nella vita sociale e politica
italiana. Cosa riprendevi in particolare?

Scattavo soprattutto immagini di attualità, il più
delle volte si trattava di cronaca nera. Erano le foto
più richieste dai giornali. La gente moriva in piazza
per mano di un non meglio identificato “nemico”,
durante manifestazioni di protesta che spesso sfociavano
in scontri molto violenti. Purtroppo mi è
toccato fotografare anche molti funerali. Erano gli
anni oscuri del terrorismo, delle stragi.

Poi sei passato alla moda e alla pubblicità,
settori molto diversi da quelli dei tuoi esordi.
Perché questo cambiamento di rotta?

Sono cresciuto in periferia. Non sapevo nulla della
moda e il made in Italy ancora non esisteva. La
società, la cultura estetica evolvevano a grande
velocità. Le aziende crescevano e avevano bisogno
di far conoscere i loro prodotti, di elaborare
strategie di comunicazione per farsi largo nel
mercato. Ho ottenuto le prime commissioni importanti
dalla Mondadori e dall’IBM ai quali avevo
mostrato il mio book: una scatola riciclata di
carta fotografica Agfa in cui avevo sistemato le
foto scattate ai miei amici nei week-end.

Pensi sia stata la scelta giusta?

Sono un fotografo. Mi esprimo attraverso questo
linguaggio. Faccio sempre e comunque del reportage,
sia quando realizzo un servizio di moda sia
quando ritraggo un personaggio famoso per una
copertina. I miei scatti sono sempre legati alla
realtà, alla vita, alle persone e alle loro relazioni.

Cosa vuol dire fare un ritratto?

Testimoniare una relazione, mettendosi in
gioco personalmente.

Preferisci ritrarre un personaggio abituato a posare
davanti alla fotocamera o uno sconosciuto?

Non fa molta differenza per me. Però a volte trovo
più complicato stabilire una relazione fresca e
immediata con chi è troppo abituato a farsi fotografare
per motivi professionali o con chi è troppo
consapevole e padrone della propria immagine.

Come realizzi un servizio di moda? Da cosa
parti? Quali aspetti – fotografici e non – consideri
nel predisporre lo shooting?

La fotografia di moda è un lavoro d’équipe in cui
l’apporto di ognuno è fondamentale per il
buon risultato finale. Nei servizi cosiddetti “redazionali”
l’input parte generalmente dal giornale
e dal redattore. Sono loro che stabiliscono
il tema del servizio. Su questa base si costruisce
l’impianto della storia. Per prima cosa
viene deciso il cast, cioè si scelgono i modelli
e le modelle. Poi si procede con il resto. Un
altro aspetto importante da decidere nelle prime
fasi del lavoro è se la ripresa verrà fatta in
studio o in esterni. Ognuna di queste varianti,
infatti, ne comporta altre legate all’attrezzatura
e alla logistica, quindi agli spostamenti delle
persone e al trasporto di ciò che occorre per
allestire il set. Nelle pubblicità di moda, se la
messa a punto di una creatività non è già
compito di un’agenzia pubblicitaria o di un art
director, sono spesso chiamato a studiare anche
il tema creativo della campagna.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di lavorare
in studio o in esterni?

Lo studio corrisponde alla mente. Gli esterni,
invece, sono più vicini alle emozioni e al cuore.
Ma, naturalmente, come spesso accade in fotografia,
può essere vero anche il contrario. In
studio nulla succede senza che tu ne sia il motore.
In esterni, invece, può succedere di tutto.
Sta al fotografo saperlo cogliere e interpretare,
ma soprattutto utilizzare a suo vantaggio.

Di quali altre figure professionali ti avvali?
Ascolto i consigli e i pareri di tutti coloro che
generosamente mi aiutano. Alla fine io tiro le
fila in situazioni create in buona parte da altri
e le inquadro in una mia forma visuale, interpretandole
nel mio stile e nel mio linguaggio.



Nel realizzare un ritratto, come procedi?
Su quali aspetti del soggetto ti soffermi?


Il ritratto è un’esperienza in cui occorre met-
tersi in gioco profondamente, senza remore
né pregiudizi. Quando scatto, a livello conscio
non so mai esattamente cosa sto facendo.
Credo in un’impeccabile organizzazione preventiva
e nella devozione alla verità del momento.


Pensi che la fruizione di immagini dal web
abbia portato cambiamenti nel linguaggio
e nell’estetica della fotografia?


Le immagini sono ovunque, ma le buone fotografie
sono nei posti migliori.


Come pensi sia evoluto il linguaggio pubblicitario
negli ultimi decenni?


Purtroppo mi sembra che sia evoluto in peggio.
Salvo rare eccezioni, la pubblicità è diventata
il regno delle immagini iperboliche,
senza sentimento, quindi vuote e superflue.

Com’è composta la tua attrezzatura?

Scatto con varie macchine digitali, principalmente
reflex professionali Canon, e con una
Rolleiflex biottica a pellicola. Tengo a portata di
mano solo ciò che mi serve durante lo shooting,
nulla di più ma neanche nulla di meno.
Questo mi permette di ottimizzare il mio tempo
e di muovermi agevolmente sul set.

Per chi non avesse a disposizione uno studio
fotografico ma volesse cimentarsi nel
ritratto, che tipo di attrezzatura di base
consigli, senza spendere un patrimonio?


Per fare un ritratto non serve uno studio. Sarei
tentato di dire che non ci vuole nemmeno
una fotocamera, dovrebbe bastare uno
sguardo… Ma volendo tornare con i piedi
per terra e dare qualche indicazione pratica,
per iniziare suggerirei di utilizzare un obiettivo
abbastanza lungo e di impostare un diaframma
molto aperto, scattando alla luce naturale.
Generalmente, in ombra c’è sempre
una buona illuminazione e se portate il vostro
soggetto ad esempio nell’androne di un
palazzo, vi renderete conto che in quella situazione
ci sono già tutte le possibilità tecniche
per ottenere un buon risultato. Però, ripeto,
in questo tipo di immagini è importante
scattare con gli occhi, non con la macchina
fotografica.

I tuoi prossimi progetti?

Continuare a imparare, stare bene e divertirmi.
Non potrei desiderare altro per la mia vita.


FOTO Cult
August isssue
"Romanzo Minimale"
An Interview with Toni Thorimbert by Emanuela Costantini.


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2 commenti:

Emanuela C. ha detto...

Grazie a te, Toni. Sono stata davvero onorata ed entusiasta di avere avuto l'opportunità di entrare nel tuo mondo. Un abbraccio, Emanuela

Stelassa ha detto...

Bella intervista, grazie. Sempre arricchente.
Un abbraccio!
Fra