Ciao caro Giacomo.
Ti conoscevo da tantissimo, era la metà degli anni ottanta.
Facevi un giornale: l'Etichetta.
Tu ne eri l'art director, il motore.
Lo dirigeva Veronelli, il mito.
Poi abbiamo fatto altre cose insieme.
Non moltissime, purtroppo, sicuramente meno di quelle che avremmo voluto.
Lasciavi molta libertà, non eri un art di quelli che ti sta col fiato sul collo.
Avevo la tua fiducia, lo sapevo e lo sentivo.
La tua grafica era pulita, innovativa, alle volte imprevista.
Avevi l'ambizione più sana: la qualità.
Doveva essere massima. Sempre. Se no meglio niente.
Mi mancherai.
Autoritratti con impermeabili.
Da un servizio di moda per L'Etichetta, circa 1985.
Gino Veronelli
L'Etichetta
Circa 1984.
Arrivaste in studio da me, era sera. Gino era una potenza. Me lo ricordo grande, massiccio, con un tabarro nero, da anarchico. Scattavo con il banco ottico 4x5 inch. Chiesi a Gino di mettersi a torso nudo. Facemmo solo questa inquadratura. Prendere o lasciare.
Ero convinto che me la avreste tirata in testa, invece no.
Questa è stata la fotografia che ci ha fatto lavorare insieme per gli anni a venire.
L'Anima della Ferriera, 1992
Monografia per la Ferriera Valsabbia.
Ritratti degli operai, degli impiegati e della proprietà.
Tachihara 8X10 Inch.
Mi fermo qua. Abbiamo fatto altre cose belle, sia prima che dopo, ma fino a qui eravamo noi, al nostro massimo. Tu ed io. Un privilegio. Grazie.
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"Troppo Fearless" ? No: la nuova campagna OLAZ non ha paura nemmeno del bianco più bianco.
Giornata bellissima di scatti con Matilde, Nilufar e Nina, tre ragazze davvero uniche e speciali con le quasli ci siamo divertiti ad interpretare i vari messaggi di una campagna decisamente incisiva creata dai ragazzi di "Enfants terribles"
Corsi e ricorsi storici, e del gusto: Un fondo così bianco con anche - quasi - il "ritorno" non lo facevo da anni.
Sta tornando. Come è giusto che sia.
Qui sotto alcuni scatti dal backstage:
Olaz
Featuring: Matilde Gioli, Nilufar Addati and Nina Rima
Photographed by Toni Thorimbert
Art direction, creativity and production: Enfants Terribles, Milano
Styled by Daniela Stopponi
Make-up by Nicoletta Pinna
Hair by Lollo Cherubini
Backstage pictures by Dario Facchi
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Fabio Emilio Simion: Il mio capo
Io a sinistra, con Fabio in cima alla scala, ed in mezzo Eliseo, il nostro secondo assistente.
Ho imparato tutto da lui, anche se non tutto tutto.
Il mio capo.
Mi piaceva fare l'assistente e credo di averlo fatto bene, anzi benissimo.
Naturalmente non ero altro che un giovinastro presuntuoso ed ero altrettanto bravo a farmi detestare.
Mangiavo la cicca sbattendo la bocca. Fabio sbucava dal panno nero della 10X12 e mi guardava disperato. Per un periodo portavo gli zoccoli.
Una volta commisi l'atrocità di portare su dalla cantina due bottiglie di vino pregiatissimo agitandole manco fosse gazzosa. Ancora adesso è la prima cosa che ricorda quando ci incontriamo.
Fabio è di San Martino di Castrozza.
Un bel montanaro burbero.
Fumava come un turco e ancora adesso fuma.
Lo studio era disseminato di pacchetti di Amadis senza filtro, io avevo sempre l'accendino pronto, e zac, gli accendevo la sigaretta. Mi sentivo un ganzo.
Scattavamo tanto. Io anche scattavo da solo un sacco di foto. Interi cataloghi di lampade, oggetti, mobili.
Piastrelle a migliaia, riproduzioni di quadri.
Pochissimi ritratti, anzi, zero
A parte gli Area.
Fabio lavorava per la Cramps Records di Gianni Sassi. "Harbeit mach frei", mitica copertina, l'ha scattata lui.
Avevamo un limbo bianco grande ad uovo. Lui, in giacca e cravatta, prima di uscire per andare a teatro passava il rullo fin sul soffitto.
Non si macchiava. Nemmeno una gocciolina. Io quando ridipingevo il limbo mi mettevo nudo, tanto praticamente diventavo bianco da capo a piedi.
Fabio ha una manualità incredibile. Poteva far stare le cose in posizioni assurde, in equilibri mai viati. Grande stillaifista. Uno dei migliori.
In camera oscura stampavamo i cataloghi del Salone del Mobile.
300, 500 stampe 18X24 tutte uguali.
Non c'era la stampa digitale off course - Stiamo parlando del 1974, fino al 1977. Se ci fosse stato un solo pelo o puntino sul negativo sarebbe stata un'impresa ritoccarle tutte.
(Per i più giovani spiego: si chiamava spuntinare: si faceva con un pennellino a punta finissima e la china molto diluita. lavoro certosino e odioso)
Nella camera oscura di Fabio, ricavata nel retro del limbo, tutti i ripiani e sporgenze erano ricoperti di polvere a strati, proprio vicino a dove appendevamo i rullini ad asciugare.
Nessuno aveva mai pulito da anni. Io avevo le mani nei capelli. Figurati, a scuola gli insegnanti favoleggiavano di asettiche camere oscure svizzere, specie di caveau dove la polvere era stata sterminata, non si sa come, per sempre.
"La polvere non è un problema, basta non smuoverla. NON pulire mai, ok?".
Fabio dixit. Messaggio ricevuto.
Ho imparato così a muovermi come un gatto, senza spostare l'aria. Ancora oggi, mi serve.
Abitava nello studio ma di sopra. Scendeva le scale la mattina tardi. Andava a fare la spesa. Comprava, che so, delle fragole. Prima di mangiarle, le metteva sul set. Le fotografava con una Pentax 6X7. Per l'archivio, diceva.
Io prendevo 150.000 lire al mese, più o meno.
50.000 andavano via per l'affitto di casa, 16 metri quadrati di mansarda sui navigli. Avevo un motorino Garelli, una Lacoste bianca, una Nikon F.
In camera oscura ascoltavo Radio Popolare, di notte disegnavo fumetti.
"Quando vai da una parte all'altra dello studio, non farlo mai a mani vuote".
Altra perla. Non sono ironico: questa è roba che ti serve davvero, nella vita.
Con Fabio alla mostra, Fluxus, Fabbrica del Vapore, Milano, novembre 2019.
La foto è di Greta Gandini.
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"Diversità uniformi" a fashion essai for Style magazine.
Alcune facce da schiaffi con lo smoking.
Come piacciono a me.
Qui il backstage:
Pubblicate così:
Bonus track:
Lavorare con gli amici fa bene.
Style magazine
"Diversità uniformi"
Styled by Alessandro Calascibetta with Angelica Pianarosa.
Photographed by Toni Thorimbert
Powered by Leica Q
Produced by Alessandra Bernabei
Grooming by Francois Avolio e Augusto Picerni
Backstage pictures by Dario Facchi
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Equestrian Time magazine
“Prima che alla fotografia avreste dovuto darvi all’ippica!” dico – provocatoriamente - ai miei studenti che fanno faccia di non capire.
Ma montare a cavallo e scattare un ritratto hanno tanto in comune: In entrambi i casi si tratta di far agire in un armonico insieme due caratteri, due volontà, che per loro natura e ruolo possono divergere. Ci vuole tecnica, certo, ma anche sensibilità, empatia, pazienza e, quando serve, mano ferma.
Significa saper usare il minimo comando necessario per ottenere il massimo risultato. Imporre il proprio volere magari facendo credere all’altro che è lui ad imporsi.
Un sottile gioco di persuasione, dove il segreto, per evitare sgroppate, è dare.
Dare una direzione, un impulso, una carezza, ma soprattutto uno sguardo, perché, il cavallo, così come chi stai inquadrando nel tuo mirino, andrà dove tu stai guardando.
Pomarance, agosto 2019
La foto è di Greta Gandini.
Qui sopra le pagine che "Equestrian time" mi ha dedicato, con una intervista a cura di Caterina Vagnozzi e alcune mie fotografie a tema equestre tratte da Details USA e Max.
Da un servizio di moda per Details USA, Pantelleria, 1996.
"Urban cowboy" Capalbio, 1987, MAX magazine, Italia.
Bonus track:
Il torero Joselito monta il suo andaluso "Huerfano" nella sua tenuta di Talavera de la Reina, Spagna 1989.
Uno scatto non pubblicato dalla rivista.
"Urban cowboy" Milano, 1987, MAX magazine, Italia.
"Una testa di cavallo tatuata"
Un'intervista di Caterina Vagnozzi per
Equestrian Time magazine
Ottobre/Novembre 2019
Grazie al direttore Fabio Petroni.
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Edoardo Leo per Style Magazine, The Fashion Issue.
Bonus track: ritratto di Edoardo a corredo dell'intervista
E qui sotto il backstage scattato da Dario Facchi
Edoardo Leo
fotografato da Toni Thorimbert per Style magazine, The Fashion Issue.
Styled by Carlo Ortenzi.
Grooming Francesco Avolio.
Prodotto da Alessandra Bernabei.
Digital: Walter Besola.
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