Fabio Emilio Simion: Il mio capo




Io a sinistra, con Fabio in cima alla scala, ed in mezzo Eliseo, il nostro secondo assistente.


Ho imparato tutto da lui, anche se non tutto tutto.

Il mio capo.

Mi piaceva fare l'assistente e credo di averlo fatto bene, anzi benissimo.

Naturalmente non ero altro che un giovinastro presuntuoso ed ero altrettanto bravo a farmi detestare.
Mangiavo la cicca sbattendo la bocca. Fabio sbucava dal panno nero della 10X12 e mi guardava disperato. Per un periodo portavo gli zoccoli.
Una volta commisi l'atrocità di portare su dalla cantina due bottiglie di vino pregiatissimo agitandole manco fosse gazzosa. Ancora adesso è la prima cosa che ricorda quando ci incontriamo.
Fabio è di San Martino di Castrozza.
Un bel montanaro burbero.
Fumava come un turco e ancora adesso fuma.

Lo studio era disseminato di pacchetti di Amadis senza filtro, io avevo sempre l'accendino pronto, e zac, gli accendevo la sigaretta. Mi sentivo un ganzo.
Scattavamo tanto. Io anche scattavo da solo un sacco di foto. Interi cataloghi di lampade, oggetti, mobili.
Piastrelle a migliaia, riproduzioni di quadri.
Pochissimi ritratti, anzi, zero
A parte gli Area.
Fabio lavorava per la Cramps Records di Gianni Sassi. "Harbeit mach frei", mitica copertina, l'ha scattata lui.

Avevamo un limbo bianco grande ad uovo. Lui, in giacca e cravatta, prima di uscire per andare a teatro passava il rullo fin sul soffitto.
Non si macchiava. Nemmeno una gocciolina. Io quando ridipingevo il limbo mi mettevo nudo, tanto praticamente diventavo bianco da capo a piedi.

Fabio ha una manualità incredibile. Poteva far stare le cose in posizioni assurde, in equilibri mai viati. Grande stillaifista. Uno dei migliori.

In camera oscura stampavamo i cataloghi del Salone del Mobile.
300, 500 stampe 18X24 tutte uguali.
Non c'era la stampa digitale off course - Stiamo parlando del 1974, fino al 1977. Se ci fosse stato un solo pelo o puntino sul negativo sarebbe stata un'impresa ritoccarle tutte.

(Per i più giovani spiego: si chiamava spuntinare: si faceva con un pennellino a punta finissima e la china molto diluita. lavoro certosino e odioso)

Nella camera oscura di Fabio, ricavata nel retro del limbo, tutti i ripiani e sporgenze erano ricoperti di polvere a strati, proprio vicino a dove appendevamo i rullini ad asciugare.
Nessuno aveva mai pulito da anni. Io avevo le mani nei capelli. Figurati, a scuola gli insegnanti favoleggiavano di asettiche camere oscure svizzere, specie di caveau dove la polvere era stata sterminata, non si sa come, per sempre.

"La polvere non è un problema, basta non smuoverla. NON pulire mai, ok?".

Fabio dixit. Messaggio ricevuto.
Ho imparato così a muovermi come un gatto, senza spostare l'aria. Ancora oggi, mi serve.

Abitava nello studio ma di sopra. Scendeva le scale la mattina tardi. Andava a fare la spesa. Comprava, che so, delle fragole. Prima di mangiarle, le metteva sul set. Le fotografava con una Pentax 6X7. Per l'archivio, diceva.
Io prendevo 150.000 lire al mese, più o meno.
50.000 andavano via per l'affitto di casa, 16 metri quadrati di mansarda sui navigli. Avevo un motorino Garelli, una Lacoste bianca, una Nikon F.
In camera oscura ascoltavo Radio Popolare, di notte disegnavo fumetti.

"Quando vai da una parte all'altra dello studio, non farlo mai a mani vuote".

Altra perla. Non sono ironico: questa è roba che ti serve davvero, nella vita.




Con Fabio alla mostra, Fluxus, Fabbrica del Vapore, Milano, novembre 2019.
La foto è di Greta Gandini.

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"Diversità uniformi" a fashion essai for Style magazine.


Alcune facce da schiaffi con lo smoking.
Come piacciono a me.















Qui il backstage:















Pubblicate così:









Bonus track:



Lavorare con gli amici fa bene.

Style magazine
"Diversità uniformi"

Styled by Alessandro Calascibetta with Angelica Pianarosa.

Photographed by Toni Thorimbert
Powered by Leica Q

Produced by Alessandra Bernabei
Grooming by Francois Avolio e Augusto Picerni

Backstage pictures by Dario Facchi

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